Trump pronto alla “stangata cinese” contro i brogli

Ma quale sconfitto e travolto? Ma quale leone ferito e asserragliato alla Casa Bianca? Donald Trump è più ruggente che mai e come il leone hollywoodiano parla all’America e al mondo denunciando brogli clamorosi e invocando la Corte Suprema. Quanto sta accadendo in queste ore in America sembra un film, una cronaca zeppa di condizionali, di censure e di smentite, ma invece sarebbe quella realtà “incredibile ma vera” che nessuno aveva previsto. Solo lui, solo Donald, era sicuro che la Cina avrebbe provato in tutti i modi a condizionare le elezioni e così si sarebbe mosso in tempo per stanare l’inganno.  Il leone Trump contro il dragone Xi Jinping. Se tutto questo sarà dimostrato, la cinquantanovesima elezione Usa passerà alla storia come l’edizione della “truffa cinese” e della “stangata americana”. Perché il presidente in carica, come nella celebre pellicola con Paul Newman e Robert Redford, è prontissimo alla mossa cruciale e finale.

Nessuno sapeva che nei seggi erano presenti infiltrati con telecamere negli occhiali e nessuno era al corrente che le schede buone hanno innesti di isotopi di dimensione nanometrica e sono rintracciabili perfino via satellite, una per una. Così assicurano i suoi fedelissimi. Ecco perché Trump ha tuonato di fermare i conteggi e di passare alle Corti federali fino alla Corte Suprema. Non solo perché lì può contare su un vantaggio di sei a tre, ma perché essendo da tempo in “guerra fredda” con la Cina, era preparato a smascherare brogli colossali. Trump è convintissimo che ci siano schede usate per il “voto postale” prodotte in Cina che sono state contraffatte e poi messe in circolo, ma previdentemente sarebbe stata messa a punto una tecnologia computazionale” per eliminarle, cioè per distinguerle da quelle legali stampate dagli uffici federali. Un reato tutt’altro che piccolo, si rischiano anche vent’anni di carcere, poiché essendo schede stampate all’estero il reato avrebbe profilo federale. E c’è chi assicura che siano già scattati gli arresti in alcuni uffici postali.

Ecco perché Trump ha chiesto ai suoi sostenitori di andare a votare di persona ed ecco perché in Arizona, ad esempio, ci sono state code anche di cento chilometri con bandiere e cartelli. Ed ecco perché, infine, l’America trumpista in queste ore arde e brucia, mentre un imperturbabile Joe Biden prosegue la sua galoppata verso la Casa Bianca in attesa dei risultati di Georgia e Pennsylvania, dopo quelli che lo darebbero avanti in Arizona e Nevada. Il vecchio democratico, ignorando le denunce, già in stile White House parla da presidente annunciando iniziative e trattative. E forse è proprio questo il dato più inquietante, perché quando Donald Trump sembrava essere in testa aveva detto al Paese che “i voti vanno contati uno per uno”, ora questa fretta indiavolata sia pure felpatissima suona assai ambigua. Ma sicuramente non ne sa nulla il vecchio Joe dei grandi imbrogli e si rimetterà all’avversario, quando capirà che ha salvato la Patria. Lieto fine, come nei film?

Elezioni di fuoco sicuramente, è quanto sta accedendo nella più grande democrazia del mondo, martoriata di dubbi, gelida rivalità, denunce e ombre lunghissime. Dopo il Covid, che Trump attribuisce alla Cina, ora le elezioni taroccate. “Brogli, truffe, fermate i conteggi, non potranno ingannare l’America”, ha tuonato il presidente nelle conferenze stampa, mentre social, tv e stampa clamorosamente lo censurano, lo bloccano, fanno sparire i suoi tweet, tutti sbalorditi, tutti preoccupati che possa dilagare una protesta pronta a sfociare in scontri pesantissimi con le città tutte blindate, tutte presidiate e tutte già sbarrate. Ma le notizie volano. Pare che il repubblicano, inferocito per le manipolazioni sui risultati della Fox News, oltre che della Cnn, abbia telefonato all’amico Rupert Murdoch chiedendogli di far ritrattare la rete, ricevendo un imbarazzato rifiuto.

Tutto è iniziato con uno spoglio ordinato, anche se in un clima di alta fibrillazione. I voti davano Donald avanti in modo netto. In Italia nello studio di “Quarta Repubblica” con il conduttore Nicola Porro, esperti di elezioni Usa come Maria Giovanna Maglie e Paolo Guzzanti, in contatto telefonico con referenti americani, confermavano la clamorosa calvata trumpista. Giornalisti che se ne intendono di calcolo di voti, fatti in diretta. Addirittura, si sono sbilanciati a dire che anche dalla roccaforte democratica californiana arrivavano segnali clamorosi. Una cronaca che non è certo frutto di allucinazioni o di partigianeria. A un certo punto, verso le sei di mattina, il silenzio assordante dal campo avversario si è rotto e sono iniziati a piovere, non si capisce come, una valanga di voti per Biden, al quale oltre tutto venivano assegnati stati in cui lo spoglio era solo al 4 per cento delle schede scrutinate. “I voti postali” ha subito tuonato Trump. Il presidente ha convocato una conferenza stampa annunciando che “aveva vinto” e che occorreva fermare subito i conteggi “per brogli”. Investito di critiche, censurato e bloccato, mentre da Detroit giungeva notizia di 4.788 schede risultate duplicate, 32mila elettori registrati senza averne diritto e almeno 2mila deceduti tra i votanti. Perfino un nato a Detroit nel 1823 resuscitato per la grande occasione. Trump è sicuro di assestare la sua “stangata cinese”, ma se dovesse vincere Biden così, il risorto di Detroit diventerà il simbolo democratico di questa elezione.

Aggiornato il 08 novembre 2020 alle ore 11:05