La controcultura dello sciamano Jake

Leggo più o meno ovunque che la democrazia americana è al capolinea. Che non ce la farà questa volta. Che è implosa. Che è già passato, senza possibilità di redenzione. L’America è tante cose, ma di certo non si può dire che sia superata. Ce lo hanno raccontato dopo la guerra di secessione. Dopo gli affanni della guerra fredda. Dopo Berlino divisa. Dopo il Vietnam. Dopo l’11 settembre 2001. Ma sono ancora lì a difendere libertà, capitalismo e democrazia nel mondo. Anche se a molti, anche negli Usa purtroppo, le parole capitale e democrazia fanno storcere il naso. E lo dimostrano ogni volta che possono in tv, in piazza, al Congresso. Lo faranno in futuro anche dalle finestre della Casa Bianca. Ma passerà. Joe Biden avrà l’onere e l’onore di ricucire una ferita profonda del suo Paese. È l’America, bellezza! E questo principio va difeso a ogni costo.

Quanto accaduto il 6 gennaio è la testimonianza delle più chiare delle contraddizioni che rende l’universo statunitense l’insieme di più galassie lontane e, all’interno di queste, di mondi abitabili che Alexis de Tocqueville aveva chiaramente descritto già un paio di secoli fa. In politologia si chiamano cleavages quelle fratture che distinguono una società. Divergenze culturali, etniche, linguistiche, religiose, economiche, sociali. L’America ne è piena. È la sua forza, ma i fatti di Capitol Hill dimostrano quanto sia fragile la nostra democrazia liberale. Sia chiaro, il presidente repubblicano al capolinea, Donald Trump, non è pazzo (anche se fa di tutto per sembrarlo). Non è un Caligola. Spero. Non è un quaquaraquà. Sarò impopolare. Il “bullo Donald ha fatto anche tante cose buone e ha rovinato tutto. Ha commesso un grave errore mercoledì, tirando troppo la corda e consegnandosi alla storia come il peggior presidente di sempre degli Stati Uniti d’America. Ha sbagliato alla grande e sarà pesantemente punito per questo. Tutto può cambiare, ma la sua personale storia politica sembra si esaurirà definitivamente il 20 gennaio prossimo.

Dicevamo delle fratture e delle contraddizioni. Sarò conciso: se a morire fosse stato un cittadino afroamericano, invece di una veterana bianca, sarebbe caduto giù il mondo. Se fosse morto George Floyd, le strade del Paese sarebbero state invase, piene zeppe di gente in protesta. E, neanche a dirlo, l’intellighenzia di sinistra insieme alla stampa mainstream avrebbero acceso i riflettori su un problema razziale mai risolto che si porta dietro da anni un impero. E via dicendo.

Ho l’impressione che ci sia un’America che viene raccontata, compatita, giustificata, riconosciuta e un’America in disperata ricerca di un padre nobile. Bistrattata, offesa, vessata. Beceri, assassini, fascisti: così vengono descritti dai più. Peccato che sia la metà quasi esatta degli elettori americani. La metà! Tanta gente. Bene, quell’America, aveva trovato in Trump la sua valvola di sfogo. Ed è tutto merito di un sistema che si chiama democrazia. C’è in sostanza un’America brutta, sporca e cattiva che non piace ai loft e ai salotti bene. Sono cafoni. Sono dei bifolchi. Amano la Costituzione quanto gli altri, ma da figliastri vengono condannati al silenzio. Un doppiopesismo che Trump ha saputo incarnare negli ultimi quattro anni. Un pezzo di nazione che ha votato per lui e che avrebbe votato per lui anche fra quattro anni probabilmente.

Il fatto è che The Donald ha fallito di fronte al mondo e al suo partito. Ha fatto il “bullo” e c’è scappato il morto. Anzi quattro. Ed è tutta colpa sua. Si è dato una mazzata sui piedi enorme, condannandolo come un pupazzo qualsiasi di fronte ai suoi nemici. Ciò significa che gli Stati Uniti sono un popolo diviso. Centro contro periferia. Sobborghi contro metropoli. Costa contro entroterra. Bianchi contro neri. È così da sempre, ma ora il problema è riemerso. E, forse, e dico forse, un’America diversa rispetto a quella di cui siamo abituati a sentire ha alzato il gomito ed è finita in modo criminale a invadere i palazzi del potere come mai era accaduto prima. La controcultura dello sciamano Jake contro tutti. Lo show di Trump sta per finire. E non è un bello spettacolo.

Aggiornato il 08 gennaio 2021 alle ore 08:57