Palestinesi contro se stessi

Chiedo perdono per l’auto-citazione, che odora di marchetta, soprattutto se si richiamano libri. Ma tutto ciò che sta succedendo in questi giorni in Israele e nella Striscia è la fotocopia di “Deserto bianco”, uscito lo scorso primo febbraio, che narra, fra l’altro, l’ultima guerra di Gaza (ormai, purtroppo, penultima) quella del 2014. Si combatté dall’8 luglio al 26 agosto, con alcune tregue brevi e regolarmente violate. Ora il copione si ripete, con un numero di missili palestinesi che sembra infinito, vista la frequenza con cui vengono lanciati ma, in realtà, è limitato e, quando finirà, in pochi giorni si arriverà a una nuova tregua di alcuni anni. E così via. Anche questa volta gli israeliani hanno bombardato i tunnel con cui Hamas cerca periodicamente di infiltrarsi nell’abitato del Negev e incunearsi nei villaggi più vicini alla Striscia. Da qui la loro conclusione, secondo cui Hamas attacca Israele ogni quattro-cinque anni, o poco più, comunque il tempo che serve per scavare, costruire missili e cercare di riceverne in qualche modo.

“Deserto bianco” racconta la disperazione degli abitanti di Gaza e degli israeliani che vivono nel Negev, gli uni con intere famiglie sterminate dai bombardamenti, gli altri costretti a vivere giorno e notte in rifugi minuscoli. E anche loro piangono i propri morti, anche se molto meno numerosi rispetto a quelli del nemico. Ognuno dei due ha ragioni e torti, e solo approfondendo la storia e l’attualità senza pregiudizi si può tentare, solo tentare, di capirne alcuni. Esiste una app che suona quando un missile parte da Gaza. E per anni non ha quasi mai suonato, anche se talvolta può accadere che ne vengono sparati due o tre, e diplomaticamente ignorati da Israele.

E due o tre fra quelli ignorati furono lanciati all’inizio di settembre dopo l’accordo fra Israele ed Emirati che fu visto dai palestinesi come un tradimento dei loro confratelli, in nome di un patto potenzialmente miliardario. In quel caso, il lancio era diretto per forza di cose verso il Negev, ma virtualmente contro altri. Da ambo le parti, comunque, ci sono gravi problemi politici interni. Benjamin Netanyahu, nonostante la fantastica campagna vaccinale, non ha ottenuto il risultato elettorale sperato e Israele continua a essere ingovernabile, sebbene senso pratico e concretezza riescano, per ora, a supplire ai numeri che non tornano.

Dall’altra parte, forse non è chiaro che i palestinesi hanno i veri nemici in casa propria: paradossalmente sembra che ci sia più odio fra Fatah e Hamas che fra Fatah e Israele. E sono molti gli arabi israeliani e i palestinesi furiosi per le reazioni di Hamas. Che governa Gaza con il terrore, non con il consenso. E teme che Fatah, più moderato, possa ipotizzare possibilismi verso Israele, emarginando l’ala più fanatica e intransigente. Intanto, le elezioni previste per giugno sono ancora una volta saltate: è dal 2005 che non si vota, ma evidentemente sedici anni non bastano nemmeno per accordarsi. I capi delle fazioni hanno timori e nessuna certezza, nemmeno nei brogli che hanno regolarmente usato. Una cosa è certa: Hamas ha giocato d’anticipo, imponendo la dittatura dell’aggressione. Dopo la tregua si vedrà se lo schieramento palestinese moderato vorrà, e riuscirà, a mettere in piedi un negoziato che abbia un senso.

Aggiornato il 18 maggio 2021 alle ore 09:53