Basta politicamente corretto! Se finalmente l’America si ribella

Che cosa accade quando si invertono le polarità del razzismo? Quando, cioè, i “Neri” elaborano feroci teorie razziste contro i “White” d’America e d’Occidente, ai quali si addebita l’irredimibile e sempiterno peccato mortale dello schiavismo? Vale la pena, in merito, capirne la portata fortemente destabilizzante, che coinvolge l’America contemporanea in una guerra civile strisciante tra progressismo talebano, rivolta afroamericana e conservatorismo repubblicano. Un moto tempestoso, quello citato, che inizia a lambire, pur se in modo abbastanza attenuato, le acque inquiete del Vecchio Continente, risparmiato storicamente, per nostra fortuna, dal flagello dell’importazione di decine di milioni di schiavi neri dall’Africa, come fecero al contrario i nascenti Stati Uniti d’America dal 1619 al 1860!

Pertanto, è bene partire da due momenti fondamentali da cui origina la relativa elaborazione concettuale. Quest’ultima, pur avendo un’origine quasi esclusivamente afroamericana, non solo gode del sostegno incondizionato di tutti i grandi media liberal e progressisti americani, tipo il New York Times e il Washington Post, ma per di più le sue teorie razziste antioccidentali sono state entusiasticamente adottate e diffuse universalmente dalla Grande giostra globale dei social network. I cardini di questa guerra ideologica, nata con, e partorita da generazioni postsessantotto allevate nei campus statunitensi, ruotano attorno a due cardini emblematici.

Il primo, denominato 1619 Project, venne lanciato come monografia commemorativa dal New York Times Magazine nell’agosto 2019, a 400 anni esatti di distanza dalla ricorrenza dello sbarco in America dei primi 20/30 schiavi neri africani, sottratti da una nave pirata inglese a un’altra imbarcazione negriera portoghese che li aveva deportati dall’Angola. Storicamente, lo sbarco dell’agosto 1619 precede soltanto di un anno quello dei Padri Pellegrini approdati a Jamestown, e di 157 anni la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776.

Il secondo, noto come “The Critical Race Theory” (o “Crt”) rappresenta un altro, forse il più penetrante e agguerrito, dei vasti fronti d’attacco anti-white e ferocemente antioccidentali che venne lanciato a suo tempo, nel decennio 70/80, da alcuni intellettuali afroamericani. Il suoi obiettivi sono stati in gran parte raggiunti, per merito del “Progressismo” militante che contraddistingue molti esponenti dell’estrema sinistra democrat americana. I principi del Crt, tra l’altro, sono stati posti al centro delle prassi di buon governo attuate da non pochi governatori degli Stati democratici della Federazione, come la California e lo Stato di New York. La Teoria ha goduto poi di un’enorme risonanza planetaria con seguente appoggio Politically correct dei mass media, della grande stampa progressista e dei social network di Gafa (Google-Amazon-Facebook/Meta-Apple).

La Critical Race intende porre al centro del sistema del Diritto costituzionale e civile americano un “nuovo principio di legalità”, che fa delle considerazioni sulla razza il fulcro “dell’American life”. Si rivoluzionano, di conseguenza, a favore di una netta quanto distorta visione vittimistica dei drammatici torti patiti negli ultimi quattro secoli dai neri d’America, le usuali e convenzionali strategie legali che stanno alla base della giustizia economica e sociale della società americana. In questa visione dogmatica, esiste una profonda interconnessione tra razza, società e diritto tale da esigere una radicale revisione dell’approccio liberale tradizionale americano alla giustizia razziale.

In pratica, si sostiene che agli afroamericani vada riconosciuto un risarcimento “storico” per le sofferenze da loro patite fin dalla nascita dell’America, per cui lo stesso diritto penale amministrato dai procuratori distrettuali (che negli States sono eletti dalla cittadinanza locale) va rivisitato e reinterpretato, in quando sempre e comunque i reati commessi dagli afroamericani contro la proprietà privata e la polizia sono il frutto di un’ingiustizia sociale di fondo, e del razzismo congenito della maggioranza bianca. In altri termini, il Crt va ben oltre il tradizionale Movimento per i Diritti civili dei Black People americani, elevando il principio di eguaglianza, sancito nel Quattordicesimo emendamento, ben al di sopra dei principi di libertà enunciati nel Primo emendamento.

Leggendo l’articolo leader del manifesto “1619 Poject”, a cura della giornalista afroamericana Nikole Hannah-Jones, Premio Pulitzer, si ha immediatamente la sgradevole sensazione di assistere a una visione della storia americana e occidentale affetta da un’enorme indice di rifrazione, per cui la grandezza dell’America è tale solo grazie al sacrificio dei neri americani che l’hanno fatta ricca e potente con il loro lavoro di schiavi, e al radicamento dei valori americani nella comunità black che si è sempre identificata nel simbolo della Bandiera a stelle e strisce. Per la Hannah-Jones quel Primo emendamento contiene una colossale menzogna, in quanto se è vero in assoluto che “Tutti gli uomini sono stati creati uguali e dotati dal Creatore di determinati diritti inalienabili”, è pur vero che, per i White-Men che li avevano scritti, quegli stessi diritti non erano riconoscibili agli “inferiori” schiavi neri americani. Così, “Vita, Libertà e il diritto alla Felicità” non hanno mai riguardato, secondo la Hannah-Jones, il quinto escluso coincidente con la minoranza black americana.

Per un occidentale europeo, francamente, tutto ciò non può essere condiviso, visto che l’America di oggi è “soprattutto” il frutto di un pensiero lunghissimo che viene dai Lumi del Settecento, e passa in Europa attraverso l’elaborazione filosofica liberale e liberista, la critica al colonialismo e allo schiavismo, per non parlare dei fondamentali contributi filosofici del XIX secolo sulle teorie del lavoro e dello sfruttamento capitalista, sviluppate nei circoli intellettuali di Germania e Inghilterra.

Sono occidentali, in particolare, le colossali scoperte scientifiche e tecnologiche partorite esclusivamente dai “White” del Vecchio e del Nuovo Continente, comprese le cure farmacologiche e i prodigi della chimica farmaceutica, come antibiotici e vaccini, che hanno salvato miliardi di persone, comprese varie generazioni di afroamericani! L’America è grande perché la sua strapotenza tecnologica ha una matrice esclusivamente europea, che va dalla macchina a vapore all’energia atomica, alle tecnologie spaziali iniziate con le mitiche V3 di Von Braun, per finire a una massiva importazione per tutto il XX secolo di centinaia di migliaia delle migliori menti scientifiche formatisi e venute alla luce nelle università e negli ambienti culturali europei. Davvero il Crt e il 1619 Project sarebbero mai stati scritti, senza che i neri d’America avessero frequentato le migliori università americane d’impronta nettamente occidentale, in quanto storicamente strutturate, arricchite e alimentate con la stratificazione culturale plurisecolare di milioni di volumi “white” che fanno bella mostra di sé in tutte le biblioteche del mondo?

Ora, è ben vero che la segregazione razziale, la condanna plurisecolare degli afroamericani al lavoro duro senza tregua, dall’alba al tramonto, che ha così drammaticamente caratterizzato lo schiavismo indecente e criminale dei campi di cotone per circa due secoli e mezzo, abbia diritto a un congruo risarcimento “morale”. Anche perché, è indubbio, che il benessere americano sia derivato dai commerci di cotone e dalle esportazioni agricole, così come dallo sfruttamento del lavoro dei black people nelle fabbriche disumane della Prima Industrializzazione. Tuttavia, tutto ciò non può essere mai confuso con il “giustificazionismo vittimistico”, perché dal XX secolo a oggi sono state ben altre comunità di immigrati sfruttati, come irlandesi, italiani, asiatici, latinoamericani a fare grande l’America di oggi e a credere fino in fondo nel sogno americano.

E queste comunità, in buona sostanza, sanno che il merito individuale e non quello etnico e razziale, è il vero motore dell’American style of Life: sono, infatti, il lavoro, il sacrificio, il risparmio e la capacità di intraprendere a decretare il successo di una comunità etnica, e non i torti da essa subiti nel processo di integrazione. Faremmo bene anche noi a ricordarcelo, quando parliamo di accoglienza indiscriminata ai profughi economici, ai quali molto spesso non va regalato cibo, ma insegnato a pescare nei loro mari e coltivare modernamente le loro terre, molto più ricchi in generale dei nostri!

Aggiornato il 20 luglio 2022 alle ore 12:03