La “legione straniera” ucraina

Prima dell’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, tra gli strateghi del Cremlino dominava il presupposto che “un piccolo esercito sovietico può essere schiacciato solo da un grande esercito sovietico”. Sia Mosca che molte Cancellerie occidentali condividevano la consapevolezza che l’esercito ucraino sarebbe stato calpestato in pochi giorni. La convinzione, avvalorata da vari analisti militari, si basava sul fatto che il grande esercito russo, che strutturalmente è rimasto legato al suo tradizionalismo militare basato su una “antica concezione”, si sarebbe confrontato con il piccolo esercito ucraino, fossilizzato in un punto cieco e lontano dai bagliori di un esercito spumeggiante, ambizioso e moderno.

Dopo l’occupazione della Crimea del 2014, le forze armate di Kiev si sono evolute profondamente, integrando i volontari civili, motivati e agili tecnologicamente. Così, da allora e dai successivi scontri esplosi nel Donbass, le Fau – ovvero le Forze armate dell’Ucraina – hanno cambiato velocemente il loro “profilo”, fino a quel momento idealizzato in un esercito di sotto-modello sovietico. Non a caso, quando Vladimir Putin ha liberato il suo “compressore militare” dentro i confini ucraini, la trasformazione era già in corso, sorprendendo le sicurezze putiniane e dei suoi generali. Inoltre, il “mutante esercito ucraino era supportato da una altrettanto sottovalutata esplosione di resistenza patriottica, dimostrando che le Forze armate ucraine erano più coriacee di quanto previsto da Mosca.

Tuttavia, nel 2014 le Fau erano molto distanti dalle potenzialità militari dalla Nato, a cui Kiev non vede l’ora di aderire. La tenacia dell’esercito ucraino si mostrò quando la Russia ha annesso la Crimea. Quest’ultima, invasa dai militari russi senza vessilli, vide metà delle truppe ucraine passare con tutto l’arsenale tra le file dell’invasore. Ma la demoralizzazione delle Fau ha retto anche quando esplose nel Donbass l’insurrezione dei separatisti filo-russi pilotati dal Cremlino. A Kramatorsk – a metà aprile del 2014 – di fronte a poche decine di rumoreggianti civili filo-russi assistettero allo show dei paracadutisti della 25esima divisione aviotrasportata di Dnipropetrovsk, oggi Dnipro, che uscirono dai loro veicoli corazzati per deporre le armi.

Questa ormai è storia, che delinea certamente un’iniziale capacità reattiva dell’esercito ucraino, che oggi ha potuto sostenere un’aggressione militare di tale peso solo grazie al supporto strategico di una coalizione non cobelligerante ma che coadiuvava nel combattimento. Quindi, al fine di resistere all’aggressione russa del 24 febbraio, il presidente Volodymyr Zelensky ha propagandato la causa, invitando i volontari stranieri a unirsi alla Legione Ukr, la Legione internazionale ucraina. Secondo i dati, che come da prassi hanno un’attendibilità relativa, è emerso che i legionari ucraini, tra le cui fila ci sono anche donne-soldato, sono oltre ventimila ma potrebbero essere anche migliaia in più. Inoltre, provengono da oltre cinquanta nazioni e si sono tutti arruolati volontariamente. Già a marzo dell’anno scorso il ministero della Difesa russo aveva dichiarato che questi individui sarebbero stati considerati criminali per la loro partecipazione alla guerra. Questa minaccia si concretizzò il 9 giugno 2022, quando un tribunale della Repubblica popolare di Donetsk condannò a morte i due britannici Shaun Pinner e Aiden Aslin e il marocchino Saadoun Brahim per “mercenarismo”. Questo fatto fece scalpore in Occidente. L’allora premier britannico, Boris Johnson, espresse il suo turbamento, affermando che i due britannici prestavano servizio nelle forze armate ucraine e quindi lo status di “combattente” valeva per entrambi. Ma la Corte suprema russa il 2 agosto 2022 aggiunse, alle qualifiche di combattente e mercenario, quella che definì il reggimento Azov come “organizzazione terroristica” e quindi i suoi membri erano da ritenere “terroristi”. Tale definizione è regolata in Russia dall’articolo 205 del codice penale che parla di azioni “commesse con lo scopo di minare la sicurezza pubblica, spaventare la popolazione o esercitare influenza sui processi decisionali degli organi di Governo”.

Pertanto, a differenza della chiarezza dell’identificazione tra “combattente” e “mercenario”, il diritto internazionale non contiene una spiegazione chiara e unanime di ciò che rappresenta un “terrorista”. Sebbene il diritto internazionale richieda agli Stati di criminalizzare determinati atti specifici, condannando azioni volte a creare terrore tra la popolazione civile, la definizione di terrorismo rimane tutt’oggi una questione regolamentata dalla legislazione nazionale di ogni Paese. Ciò dà agli Stati un margine di interpretazione e di manovra moderatamente duttile, per definire un’organizzazione terroristica e i suoi membri “terroristi”. Margine di manovrabilità che sancisce il concetto che in guerra tutto è opinabile e poche cose sono certe: una di queste è raggiungere l’obiettivo dell’annichilimento dell’avversario. Chiunque – mercenari, combattenti o terroristi – va bene per arrivare alla vittoria, nel quadro di un diritto internazionale dove Mosca accomuna nella stessa categoria mercenari e terroristi.

Aggiornato il 08 marzo 2023 alle ore 11:41