Spiaggiare i trafficanti: l’altra immigrazione

Si sono riaperte le porte dello Ionio. Secondo l’analisi del quotidiano Le Figaro, oltre alle altre due rotte ben più collaudate come quella terrestre balcanica e del Mediterraneo centrale (che parte dalla Libia e dalla Tunisia verso le coste italiane), si è aperta di nuovo ultimamente una terza via d’acqua, con partenze dalla Turchia o dal Libano, fiancheggiando la costa greca, per poi arrivare in Italia. Ed è proprio su quest’ultima tratta di mare, in corrispondenza del litorale crotonese, che si è di recente verificato il naufragio di un barcone di circa 180 migranti, di cui solo 80 all’incirca di questi sono riusciti a salvarsi. Tempo fa, la rotta ionica era stata largamente utilizzata dai curdi che fuggivano dalla repressione turca negli anni Novanta, poi da afghani, iraniani e iracheni nel primo decennio di questo secolo. Da allora, la rotta ionica era stata posta sotto un’attenta sorveglianza radar, tanto che le Ong avevano rinunciato per mancanza di traffico a pattugliare la zona, concentrandosi esclusivamente sulla Sar libica. Rimasta tranquilla fino al 2020, la ionica si è improvvisamente riattivata nel 2021, fino a raggiungere nel 2022 il livello record di 18mila partenze, di cui si calcola che il 45 per cento siano afghani, mentre il 15 per cento si suddividono in iraniani, iracheni e siriani: tutti potenziali candidati, quindi, al riconoscimento della protezione internazionale e all’asilo politico. In proposito, secondo l’Ispi, vi sarebbero qualcosa come tre milioni di persone pronte a partire dalla Turchia, non appena disporranno di denaro a sufficienza per pagare il passaggio ai trafficanti! Si calcola che il rischio della traversata, le cui tariffe vanno da 4500 dollari per un minore a 10mila dollari per un adulto, sia pari alla metà di quello della rotta libica per quanto riguarda le morti in mare.

Al caicco partito da Izmir e naufragato a Crotone sono stati sufficienti quattro giorni di navigazione per raggiungere le coste calabresi, ma lo stesso viaggio può durare anche sei giorni, se si naviga a vela. Un tempo di viaggio molto lungo, quest’ultimo, se si considera che le condizioni meteo nell’area sono soggette a repentini cambiamenti senza preavviso, il che rende la traversata ad alto rischio. Soprattutto nel caso in cui i trafficanti ammassino centinaia di persone sul ponte, con scorte alimentari limitate e rischi importanti di disidratazione per i passeggeri. Due anni fa, il 95 per cento dei barconi che partivano dalla Turchia arrivavano in Grecia, mentre oggi più della metà di loro cercano di arrivare “direttamente” in Italia dato che è molto elevato il rischio di essere respinti dalla Grecia (che afferma di aver impedito, con operazioni di “push-back”, l’ingresso a 260mila migranti illegali nel solo 2022), perdendo così tutto il denaro versato ai trafficanti. Ma altrove va molto peggio. In Tunisia si assiste, attualmente, a un’ondata di odio contro gli immigrati africani, che ha fatto eco alle seguenti dichiarazioni del presidente tunisino Kaïs Saïed: “Il fine non dichiarato dietro queste ondate successive di migrazioni irregolari è di considerare la Tunisia un Paese prettamente africano, con nessuna affiliazione alle Nazioni Islamiche”. Nelle parole del presidente tunisino riecheggiano, mutatis mutandis, le teorie dei suprematisti bianchi sul “Great Replacement” di Renaud Camus, ovvero la colonizzazione dell’Europa da parte di migranti islamici provenienti da Medio Oriente e Africa.

A seguito del discorso di Saïed sono iniziate una serie di aggressioni a lavoratori e studenti sub-sahariani, licenziati, messi fuori dalla porta di casa senza preavviso e interdetti dall’utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto, come denuncia il New York Times. E lo stesso in precedenza aveva fatto Le Monde, sottolineando il passaggio del discorso di Saïed in cui si fa riferimento alle “orde di immigrati clandestini responsabili di violenze e di crimini e di altri atti inaccettabili”. Il quotidiano francese rimarca come i numerosi sfratti senza preavviso, dati agli irregolari ivoriani in particolare, siano perfettamente legali, dato che una legge tunisina del 2004 fa obbligo ai proprietari, pena severe sanzioni (quindici giorni di prigione più un’ammenda), di pretendere l’esibizione da parte del richiedente di una carta di soggiorno (difficilissima da ottenere in Tunisia), notificando successivamente all’autorità di polizia la presenza di un affittuario straniero. Idem per i datori di lavoro tunisini che impieghino manodopera straniera senza un regolare contratto di lavoro. Su di una popolazione autoctona di 12 milioni di abitanti si registra in Tunisia la presenza di circa 20mila immigrati illegali africani (camerunesi, ivoriani e maliani, in particolare) provenienti dal Sub Sahara i quali, come accade qui da noi, vanno a svolgere quei lavori che la gente del posto si rifiuta di fare. Si capisce, quindi, come i giovani tunisini del “tutto e subito”, alla ricerca di migliori condizioni di vita, siano attratti dalle sirene consumiste del benessere occidentale, veicolate dalle immagini pubblicitarie del mondo delle parabole e dei social, decidendo così di impiegare tutti i loro risparmi e mettere in gioco le proprie vite per intraprendere rischiosi viaggi della speranza, affidandosi ai trafficanti per raggiungere le coste italiane.

Tanto più, che pur non avendo nella stragrande maggioranza dei casi evidentemente alcun diritto a richiedere la protezione internazionale, essendo di tutta evidenza dei profughi economici, tuttavia una volta sbarcati da irregolari in Italia risulta oltremodo difficile alle nostre autorità nazionali predisporre il loro rinvio in patria. Questo perché le autorità tunisine non collaborano ai rientri, ben felici di allontanare dal proprio territorio gli insolubili problemi della disoccupazione giovanile di massa e la protesta popolare contro il caro vita e la mancanza di lavoro, causate da una dilagante crisi economica e alimentare. La nuova, massiva ondata di migrazioni dal resto del mondo che si sta riversando di nuovo sulle coste italiane in particolare, ha come concause, rispettivamente, secondo il Financial Times, per un verso la fine delle restrizioni da lockdown decise a seguito della pandemia da Covid-19. Mentre, sull’altro versante, stanno incidendo significativamente le ricadute economiche della guerra in Ucraina che colpiscono alcuni Paesi in via di sviluppo, ai quali si aggiungono quelli sconvolti da condizioni climatiche e rivolgimenti politici, come le inondazioni disastrose in Pakistan e il ritorno dei Talebani in Afghanistan. Situazioni quest’ultime che hanno fatto esplodere letteralmente le richieste di asilo politico nella Ue che, sommate a quelle di Norvegia e Svizzera, fanno salire il totale per il solo 2022 a ben 960mila domande d’asilo, pari al 50 per cento in più di quelle del 2021! E, malgrado tutto ciò, sottolinea il quotidiano della City, l’Europa si è ben guardata da intervenire in proposito, essendo l’immigrazione irregolare il tallone d’Achille dei governi europei.

Ma anche l’Inghilterra, va detto, non è messa meglio del Continente, visto ciò che sta accadendo con l’arrivo di centinaia di piccoli natanti su cui trovano posto gli immigrati irregolari che attraversano ogni mese la Manica! Tant’è vero che il Governo di Sua Maestà sta per adottare una norma di legge sull’immigrazione, per cui tutti coloro che arrivano con i così detti “barchini” non possono presentare domanda d’asilo e vengono automaticamente rimandati indietro. Quelli di loro che ritenteranno non potranno più presentare la richiesta di cittadinanza inglese. Per tutti costoro (a oggi decine di migliaia) sarà dato al Governo il potere di predisporre misure di confinamento in centri di espulsione, la cui detenzione deve durare il minor tempo possibile, facendo carico al ministero dell’Interno di adottare con urgenza tutte le misure del caso. A tal fine, è prevista l’espulsione verso “Paesi sicuri”, come il Rwanda. E da noi, nella Ue, come vanno le cose? In assenza di un serio regolamento comunitario per facilitare il rientro in patria di chi non ha diritto alla protezione internazionale, la situazione nel medio-breve periodo è destinata a peggiorare. In merito, lo stesso quotidiano inglese sostiene che sia fondata la posizione di Giorgia Meloni nel richiedere un maggiore coinvolgimento dell’Europa per la redistribuzione dei migranti, nonché un contributo finanziario e organizzativo a favore dell’Italia, in merito all’accoglienza e all’assistenza degli immigrati irregolari che arrivano nel nostro territorio, “frontiera comune dell’Unione”!

In generale: c’è un modo originale per arginare questa spinta immane all’immigrazione economica che ci viene dall’Africa e dal Maghreb? Si potrebbe, ad esempio, concepire un robusto aiuto umanitario ai Paesi di origine, dotando adeguatamente un Fondo “ad hoc” comunitario di decine di miliardi di euro che agisse nel seguente modo semplificato. All’inizio di ogni anno, a ciascun Paese d’origine coinvolto si assegna a-priori, in proporzione alla loro popolazione giovane, una quota “x” del Fondo, che sarà erogata alla fine dell’anno in corso detraendo pro-quota e pro-capite importi prestabiliti (“y”-euro a persona), tenuto conto del numero di migranti irregolari di quella nazionalità che avranno raggiunto nel frattempo le frontiere comunitarie. Insomma, più favorisci gli sbarchi e i trafficanti, più ci perdi! Un’ulteriore quota per ciascun Paese beneficiario sarà invece versata a consuntivo sulla crescita del Pil nell’anno precedente, presumendo che la crescita stessa sia stata generata da nuova occupazione giovanile, in modo da asseverare il famoso detto “aiutiamoli a casa loro!”.

Aggiornato il 10 marzo 2023 alle ore 10:17