Il Vietnam e la corsa alle terre rare

Le istituzioni politiche del Vietnam stanno puntando all’estrazione delle terre rare e alla loro vendita alle compagnie occidentali. Hanoi è infatti pronta a lanciare le prossime gare d’appalto per le aziende interessate a investire nella miniera di Dong Pao. Il sito si trova nel Vietnam settentrionale e rappresenta uno dei più grandi giacimenti di terre rare al mondo. I tempi dell’asta potrebbero variare, ma il governo prevede di riavviare la miniera l’anno prossimo. Secondo il Servizio geologico degli Stati Uniti, il Vietnam possiede i secondi più grandi depositi di terre rare al mondo. Ma sono rimasti in gran parte non sfruttati, con gli investimenti non incoraggiati dai prezzi bassi fissati dalla Cina a causa del suo quasi monopolio sul mercato globale. Nel corso del mese di settembre, Joe Biden, presidente degli Stati Uniti d’America, in visita ad Hanoi, per accrescere e migliorare la cooperazione internazionale con il Paese, ha firmato un accordo per aumentare la capacità del Vietnam di attirare investitori internazionali per le sue riserve di terre rare. Alcune compagnie finanziarie internazionali stanno studiando le mosse del Paese per comprendere i mutamenti che il Vietnam potrebbe innescare nelle catene di approvvigionamento mondiale e per ridurre la dipendenza globale dalla Cina.

Un maggiore ruolo sul fronte dell’estrazione delle terre rare interesserebbe molto anche i produttori di auto elettriche, tra cui il leader automobilistico nazionale VinFast che mira peraltro alla quotazione a Wall Street nei prossimi mesi e si sta lanciando anche sul mercato europeo. Lo sfruttamento effettivo di Dong Pao proietterebbe il Vietnam tra i primi produttori di terre rare. Tuttavia, la raffinazione delle terre rare è complessa e la Cina controlla molte delle attuali tecnologie di lavorazione, che sono altamente impattanti per la salute dell’ecosistema. Le terre rare sono molto ambite dalle grandi potenze mondiali. Attualmente la Cina è l’esportatore di terre rare più importante al mondo, con una produzione annua di circa 130mila tonnellate (dati del 2019) e detenendo circa il 37 per cento delle riserve mondiali. Seguono gli Stati Uniti con il 12 per cento, il Myanmar (10,5 per cento) e l’Australia (10 per cento). In realtà, secondo numerosi analisti internazionali e attivisti ambientali, sembrerebbe che i numeri in Cina siano ben più elevati, con un susseguirsi di estrazioni che avvengono spesso in contesti e scenari illegali.

D’altronde, per le terre rare non esiste un mercato ufficiale e di conseguenza raffinatori e imprenditori – prevalentemente cinesi, americani e giapponesi – interessati all’acquisto, conducono trattative private, con prezzi stabiliti al momento. Per questo il mercato subisce importanti oscillazioni, dettate principalmente da ciò che decide la Cina. I Rare Earth Elements consentono la produzione, la lavorazione e il funzionamento di tanti oggetti che fanno parte della quotidianità e del lavoro umano: smartphone, touchscreen, lampade e congegni negli hard disk dei computer. Ma sono anche alla base di fibre ottiche e laser, di numerose apparecchiature mediche e nelle batterie per le auto elettriche. Inoltre, costituiscono magneti permanenti, sensori elettrici, convertitori catalitici indispensabili per la produzione di tecnologie green e la diversificazione energetica, pensiamo alle turbine eoliche e ai pannelli fotovoltaici.

Aggiornato il 11 ottobre 2023 alle ore 10:01