“È avvenuto davvero”: l’appello di uno dei protagonisti della serie “Fauda”

Lui si chiama Itzik Cohen ed è uno dei coprotagonisti della serie televisiva Fauda, arrivata ormai alla quinta stagione su Netflix. Ha fatto un video, in cui inizia in maniera ammiccante dicendo “habiby keyf aluka”, cioè “tesoro, come stai” – che è la maniera con cui il suo personaggio, responsabile di una unità antiterrorismo del Mossad nella suddetta serie, si rivolge al terrorista di turno di Hamas catturato, per convincerlo a parlare – e nel suddetto video fa vedere le terribili immagini diffuse dai siti di Hamas dopo il super attentato dello scorso 7 ottobre, coordinato probabilmente da Teheran, in cui sono stati trucidati a sangue freddo senza alcun motivo oltre 1300 civili israeliani che vivevano ai confini con la Striscia di Gaza.

Questo video di poco più di un minuto è stato congegnato per comunicare la verità a tutti i fan della serie tv in questione, “Fauda”, che in arabo vuol dire grosso modo “casino”, e per assicurarli che le terribili immagini – peraltro diffuse dagli stessi terroristi – non erano fake news ma erano avvenute davvero.

“Fauda”, presentata per la prima volta in Italia alla Festa del cinema di Roma nel 2017 (quest’anno giunta alla 18esima edizione e che si tiene proprio in questi giorni, 18-29 ottobre), è una sorta di simbolica co-produzione israelo-palestinese (quelli della West Bank) in cui ognuno recita la parte in cui è nota al grande pubblico: da una parte il terrorismo e dall’altra l’antiterrorismo. Con non poche venature autoironiche oltre che con registri drammatici. L’attore Cohen nell’ultima serie è stato venduto ai terroristi della jihad islamica da un agente doppiogiochista che ha fatto quello che si ipotizza sia avvenuto il 7 ottobre per eludere le difese dell’intelligence dello Stato ebraico. Questa sorta di spot – anche esso con venature auto-sarcastiche – sembra molto efficace. In Israele quando accadono tragedie simili si mobilitano pure le voci ferocemente critiche contro il governo in carica, cioè quello di Benjamin Netanyahu che forse qualche responsabilità nel precipitare della situazione può averle avute. Specie nel fronte interno. Le continue mobilitazioni di piazza dell’ultimo anno e mezzo contro la sua inutile riforma sulla giustizia – che i maligni dicono essere stata concepita ad personam – possono avere infatti illuso i nemici esterni come l’Iran ad osare questo atto di guerra uscito “out of the blue”. Per dirla alla britannica. E forse lo stesso Vladimir Putin, aiutato dall’Iran con i droni contro l’Ucraina, può avere dato un tacito consenso sperando che avvenisse ciò che poi è puntualmente accaduto: che non si parlasse più così tanto e ogni giorno della guerra in Donbass, resuscitando un evergreen come il conflitto tra Hamas e Israele.

Adesso che la frittata è fatta però, occorre ripristinare la gerarchia non tanto dei valori quanto della logica. L’asse del male di reaganiana memoria è sempre quello: Cina, Russia e Iran. Con i rispettivi movimenti terroristici e guerriglieri mercenari di questa geopolitica. Prendersela con Israele è come prendersela con la polizia se reagisce ai rapinatori in un conflitto a fuoco in seguito ad una rapina in banca finita male.

Aggiornato il 17 ottobre 2023 alle ore 14:28