L’Europa ha cacciato le spie di Putin, ma ora sono tornate

La Russia ha rilanciato in modo aggressivo la sua guerra di spionaggio con l’Occidente. Quasi ogni settimana viene alla luce un’altra operazione segreta, che mostra fino a che punto le agenzie di intelligence russe sono penetrate in Europa da quando Mosca ha lanciato l’invasione su vasta scala dell’Ucraina due anni fa. Il 27 febbraio, Tihomir Ivanov Ivanchev è stato identificato come il sesto bulgaro ad essere accusato di far parte di una rete di spionaggio russa nel Regno Unito. Due settimane prima, Maksim Kuzminov, un pilota militare russo che aveva disertato in Ucraina l’anno scorso, era stato trovato morto in Spagna, con il corpo crivellato di proiettili. La settimana prima, la Francia aveva scoperto una rete di 193 siti web progettati per diffondere disinformazione in vista delle elezioni europee di quest’anno. E due settimane prima, il Parlamento europeo aveva aperto un’indagine per verificare se un deputato lettone potesse essere un agente dei servizi segreti russi. L’apparente incremento delle operazioni ostili guidate dal Cremlino segna un rilancio dopo le umilianti battute d’arresto affrontate all’inizio del 2022.

Quando i carri armati russi hanno iniziato ad avanzare verso Kyiv, le capitali europee hanno espulso 600 diplomatici, circa 400 dei quali si ritiene fossero spie. Sono stati scoperti anche diversi “illegali” russi – agenti che operavano senza copertura diplomatica. Quando l’invasione di terra della Russia ha subito una battuta di arresto, Vladimir Putin ha estromesso, mettendoli ai domiciliari, alcuni dei vertici dell’Fsb per aver giudicato in modo approssimativo la capacità di resistenza ucraina. Da allora, i principali servizi di intelligence russi – l’intelligence militare del Gru, il servizio di sicurezza federale dell’Fsb e il Servizio informazioni estero Svr – hanno rinnovato il loro modus operandi nella speranza di aumentare le chance delle operazioni militari convenzionali della Russia.

Le priorità rimangono le stesse di prima della guerra: sottrarre segreti ai Paesi occidentali, cercare di ampliare le divisioni all’interno della Nato e minare il sostegno all’Ucraina, ma i metodi sono diventati più ingegnosi per compensare le reti di spionaggio interrotte in Europa e per aggirare le restrizioni imposte ai russi che lavorano nel continente. I servizi segreti russi dovevano fare ricorso ad altri strumenti. Uno dei principali cambiamenti del Cremlino sembra essere il maggiore utilizzo di “attori per procura”. Prima della guerra, le agenzie occidentali si occupavano principalmente di operazioni russe condotte da cittadini russi in tutta Europa. Oggi potrebbe non essere più così. Le operazioni segrete russe ora utilizzano una galassia formata da cittadini stranieri, come nel caso della “squadra” serba che ha organizzato la fuga, lo scorso anno, di Artem Uss, un uomo d’affari legato al Cremlino arrestato in Italia perché sospettato di aver venduto tecnologia militare statunitense a Mosca. Il Cremlino ha anche esercitato pressioni sugli esuli russi. “Conosciamo casi in cui Mosca si è appoggiata ai parenti degli emigrati rimasti in Russia”, ha detto Andrei Soldatov, un esperto dei servizi di sicurezza russi. Per i russi, condurre operazioni a distanza utilizzando il lavoro da remoto e agenti appena reclutati ha i suoi vantaggi e svantaggi.

Da un lato vi è un maggiore margine di negabilità. Le azioni per procura possono risultare efficaci anche per operazioni quali il furto di segreti commerciali, la creazione di programmi di esportazione per eludere le sanzioni o la penetrazione in reti informatiche. Una chiavetta Usb inserita in un computer da un addetto alle pulizie potrebbe, ad esempio, fornire informazioni preziose tanto quanto quelle provenienti da una fonte umana coltivata per anni. Ma la sicurezza operativa potrebbe essere trascurata e i proxy possono risultare difficili da controllare senza un agente sul campo che li diriga. Secondo un recente rapporto del think tank Royal United Services Institute di Londra, per risolvere questo problema, l’unità di intelligence militare russa Gru ha iniziato a reclutare agenti senza alcun background militare, per attraversare – senza essere scoperti – i confini dei Paesi target e stabilire contatti personali. “I russi stanno ancora facendo molta gestione remota, ma la percepiscono come inaffidabile”, ha detto Jack Watling, uno dei coautori del rapporto. “Il loro obiettivo ora è sviluppare storie di copertura credibili, o almeno verosimili, in modo che gli agenti possano entrare nei Paesi target”.

In una certa misura, il vecchio modello delle spie russe “legali” che lavorano nelle ambasciate è ancora valido in Paesi tradizionalmente neutrali come Austria e Svizzera. Funzionari della sicurezza di entrambi i Paesi hanno affermato che circa 150 agenti russi conosciuti operano ancora lì sotto copertura diplomatica. Si stima che quasi un terzo delle operazioni di intelligence della Russia in tutto il continente siano ora gestite dagli “hub sicuri” di Vienna e Ginevra. Inoltre, le spie russe hanno rafforzato le loro basi al di fuori dell’area Schengen. La Turchia e gli Emirati Arabi Uniti sono diventati importanti punti di appoggio per le operazioni di intelligence russe in Europa. Secondo quanto riferito, diversi agenti russi espulsi si sarebbero anche trasferiti nella capitale della Serbia, Belgrado, che mantiene buoni rapporti con Mosca.

Il nuovo approccio della Russia è stato così descritto dal servizio di intelligence interno norvegese nel suo recente rapporto annuale: “Ci aspettiamo che la Russia cercherà di compensare la perdita di agenti dell’intelligence, tra le altre cose, inviando più agenti in visita”. In altre parole, la Russia potrebbe avvalersi di più “illegali”, come José Assis Giammaria, un presunto accademico brasiliano che ha accettato un incarico presso un’università norvegese nel 2021, ma è stato smascherato come presunto ufficiale sotto copertura russo l’anno successivo, ed è ora in attesa di processo. È quasi impossibile sapere quanto efficaci si dimostreranno i rinnovati metodi di spionaggio della Russia. Da un lato, il crescente autoritarismo di Putin ha creato una certa “disaffezione” nelle agenzie di sicurezza russe e “un’opportunità di reclutamento irripetibile”, ha scritto recentemente su Foreign Affairs il capo della Cia, William Burns. Sir Richard Moore, capo dell’MI6, ha detto la stessa cosa. “Ci sono molti russi oggi che sono silenziosamente sconvolti”, ha detto l’anno scorso. “La nostra porta è sempre aperta”.

Ma allo stesso tempo, le espulsioni dei diplomatici russi potrebbero aver reso più difficile il controspionaggio, poiché le agenzie occidentali in precedenza sapevano quali diplomatici erano spie e potevano rintracciare chi incontravano e potenzialmente reclutarli. In ogni caso, l’efficacia operativa degli “illegali” è spesso inferiore a quanto si possa immaginare. Non hanno le capacità che molti credono. I “dormienti” lavorano da soli, non hanno facilmente accesso alle informazioni segrete e hanno poco supporto. Dopo l’invasione dell’Ucraina, anche le agenzie occidentali hanno intensificato la cooperazione, costruendo una rete di database e collegamenti per catturare gli agenti russi. C’è molta più collaborazione internazionale. È diventata una priorità. Già con l’antiterrorismo bisognava “osare condividere”, ma con la Russia e la guerra in Ucraina la necessità di cooperare tra agenzie di sicurezza dei Paesi occidentali è ora divenuta più evidente.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative sulla sicurezza

Aggiornato il 26 marzo 2024 alle ore 13:48