Brasile, la libertà è in pericolo

Il Brasile vive una crisi istituzionale unica in tutta la sua storia. Ciò che sta accadendo è estremamente grave, con la continua soppressione dei diritti costituzionali, nonché il completo disprezzo dei principi di giustizia naturale e giusto processo. Il tradizionale sistema di pesi e contrappesi tra i tre poteri non funziona, a causa di una serie di boicottaggi e di interferenze che si sono intensificati da circa cinque anni, soprattutto da parte dei giudici della Corte suprema, che si sono intromessi in questioni costituzionalmente assegnate al Parlamento, e della magistratura. Agiscono come attivisti che aderiscono alla dottrina del diritto relativo, i quali sostengono che il ruolo dei giudici non è quello di garantire il rispetto della legge, ma di contribuire a realizzare “cambiamenti sociali”, cioè l’impianto del socialismo, sempre in nome della “giustizia sociale” e della “lotta alle disuguaglianze”, senza spargimento di sangue e alla luce della Scuola di Francoforte, di Antonio Gramsci e del globalismo.

La storia è lunga e copre una serie di irregolarità e ingiustizie, tutte curiosamente contro liberali e conservatori, soprattutto contro diverse persone che hanno sostenuto o lavorato con il presidente Jair Bolsonaro. La maggior parte di queste irregolarità rientrano nell’inchiesta aperta dal Supremo Tribunal Federal (Stf), con il numero 4.781, del 14 marzo 2019, nota come indagine sulla fine del mondo. L’obiettivo dichiarato di questa aberrazione è “l’indagine su notizie fraudolente (fake news), false notizie di crimini, denunce diffamatorie, minacce e altre infrazioni rivestite di animus caluniandi, diffamandi o injuriandi, che incidono sull’onore e sulla sicurezza della Stf e dei suoi membri; e verificare l’esistenza di meccanismi di finanziamento e diffusione massiva sui social network, volti a ledere o esporre a rischio di pregiudizio l’indipendenza della magistratura e lo Stato di diritto”.

Questa indagine ha suscitato molte polemiche, perché è chiarissimo, anche a chi non ha una formazione giuridica, che i giudici non possono presiedere le indagini penali come se fossero i capi della polizia; e che spetta al pubblico ministero competente proporre la denuncia e – cosa molto importante – la presunta vittima del fatto non può essere il giudice del caso che si occupa del presunto fatto stesso. Insomma, i dettagli legali di questa inchiesta sono così tanti che ci vorrebbero centinaia di pagine per elencarli. L’indagine è stata avviata, nonostante tanti difetti nelle sue origini. La persona scelta per riferire è stato il ministro Alexandre de Moraes.

Il 15 aprile 2019, l’allora procuratore generale della Repubblica, André Mendonça, responsabile dell’accusa, ha deciso che l’indagine dovesse essere archiviata, dichiarando: “L’indagine penale è svolta dalla magistratura, in particolare quando esclude il titolare dell’azione penale o quando impone il segreto sullo svolgimento dell’indagine. Tali misure violano l’articolo 129-I, II, VII, VIII e il comma 2 della Costituzione”.

Come riporta il giurista brasiliano Augusto Zimmermann in un recente articolo per The Epoch Times: “Nel 2020, mentre questa sfortunata indagine era in pieno svolgimento, anche il partito di sinistra Rede ne ha chiesto l’archiviazione. La Corte ha quindi deciso, con 10 voti contro uno, di proseguire le indagini. Il motivo, indicato nella sintesi, era la presunta gravità della minaccia contro i membri della Corte suprema. In altre parole, incredibilmente, era come se dicessero che, di fronte alle presunte “grandi minacce”, la Costituzione brasiliana non avrebbe più avuto importanza. Per l’allora presidente della Corte suprema Celso de Melo, l’indagine avrebbe “l’obiettivo legittimo di consentire la difesa istituzionale della Corte Suprema, tutelare l’onore di questa Alta corte e preservare l’integrità fisica e morale dei giudici che ne fanno parte” di esso”.

C’è stato un avvertimento da parte del veterano ministro della Corte suprema Marco Aurélio Mello, la cui argomentazione è stata completamente ignorata. Nelle sue parole di allora veniva evidenziato: “Siamo di fronte a un’indagine nata morta, e visti gli aneddoti (sentiti) verificati dopo la sua fondazione, direi addirittura un’indagine da fine del mondo, senza limiti”.

Incredibilmente, questa indagine resta aperta ancora oggi, anche dopo cinque anni, quando il termine legale per portare a termine questo tipo di procedura in Brasile è di 30 giorni, prorogabili solo in via eccezionale. La fine dell’inchiesta mondiale riguarda praticamente tutto: le persone che hanno osato criticare pubblicamente la Stf, le macchine per il voto elettronico, l’azione parziale a favore della sinistra delle autorità elettorali (Tribunale elettorale superiore) nelle elezioni del 2022, alcuni casi sui vaccini Covid-19, un presunto tentativo di colpo di Stato da parte dell’ex presidente Jair Bolsonaro negli atti di vandalismo avvenuti a Brasilia l’8 gennaio 2023, all’inizio del mandato del presidente Luíz Inácio Lula da Silva.

Sempre secondo Zimmermann, per superare la critica secondo cui un giudice non dovrebbe agire di propria iniziativa, il ministro Moraes dispone di una squadra di capi di polizia alloggiati nel suo ufficio, pronti a avanzare richieste di misure cautelari, che vengono concesse (e mai respinte) immediatamente, con decisioni di decine di pagine. Il ministro Moraes è il relatore di queste indagini perché, secondo la Corte, si occupano tutte di “crimini correlati”, dalla raccomandazione dell’uso dell’idrossiclorochina per curare il Covid-19 alla pianificazione di un “colpo di Stato”.

L’elenco degli atti arbitrari commessi è ampio. Ci sono due politici arrestati per ordine di Moraes; diversi giornalisti che hanno dovuto trasferirsi negli Stati Uniti e si sono visti bloccare i conti bancari e sospendere i loro social network; più di mille cittadini furono arrestati e processati a lotti, accusati di aver compiuto un “colpo di Stato”, quando in realtà solo pochi (non identificati) invasero edifici pubblici e compirono depredazioni; centinaia di comuni cittadini con account sui social media sospesi per “crimini di opinione”; una giudice – Ludmila Lins Grillo – destituita dall’incarico e anche costretta a lasciare il Paese; l’ex consigliere internazionale del presidente Bolsonaro – Filipe Martins – è in carcere da tre mesi, con l’accusa di essere scappato negli Stati Uniti per sfuggire alla polizia federale, per aver presumibilmente “attaccato lo Stato di diritto democratico”. Latitante di cosa? Se è rimasto nel Paese, visto che la polizia lo ha arrestato in Brasile, a casa della fidanzata, nello Stato del Paraná? Oltre a essere infondate, le accuse contengono prove viziate, come un rapporto “errato” della polizia federale secondo cui il signor Martins avrebbe lasciato il Brasile per “fuggire” o per “scopi oscuri”, sebbene i suoi avvocati abbiano già dimostrato che era non assente dal Brasile dal dicembre 2022. Insomma, la sua privazione della libertà si basa su una premessa completamente falsa.

Un fatto scioccante è che, in tutti questi casi, gli accusati e i loro avvocati difensori semplicemente non hanno accesso all’intero contenuto o alla natura delle accuse, così come agli elementi di “prova” che compongono i documenti. È una serie di procedure senza senso. Va aggiunto che le indagini presiedute dal ministro Moraes continuano senza scadenza, senza che gli avvocati vi abbiano pieno accesso, senza controllo esterno e con il consenso del Pubblico ministero.

Un evento inaspettato, però, può contribuire a cambiare il corso delle cose. Nella prima settimana di questo mese, il giornalista americano Michael Shellenberger ha denunciato presunti scambi di e-mail tra dipendenti di X (ex Twitter) in cui sostenevano che le autorità brasiliane richiedevano informazioni personali agli utenti, prima delle elezioni presidenziali del 2022. X ha poi pubblicato una nota, in cui affermava di essere stato “costretto dalle decisioni dei tribunali a bloccare alcuni account popolari in Brasile” e che le decisioni di Moraes non rispettavano il quadro civile di Internet e la Costituzione federale. Quindi, Elon Musk, il proprietario di X, ha aggiunto che Moraes “ha imposto pesanti multe, ha minacciato di arrestare i nostri dipendenti e di bloccare l’accesso di X in Brasile”. Musk ha alzato i toni contro Moraes: “Perché chiedete così tanta censura in Brasile?” Segnalando che il giudice “ha palesemente e ripetutamente tradito la Costituzione e il popolo brasiliano”. Inoltre, evidenziando che il ministro “dovrebbe dimettersi o essere messo sotto accusa”.

La reazione di Moraes è stata quella di ordinare che Musk venga incluso nell’indagine Fine del mondo e di stabilire una multa giornaliera di 100mila real brasiliani (circa 17.500 euro) per profilo, se non dovesse essere rispettata la decisione del Tribunale di sospendere i conti.

La disputa raggiunse rapidamente i quattro angoli del mondo. I parlamentari brasiliani si sono recati al Congresso degli Stati Uniti e al Parlamento di Bruxelles per denunciare la soppressione della democrazia in Brasile. La risposta del Governo socialista e globalista brasiliano – come potrebbe essere altrimenti – è che i social network devono essere regolamentati. In altre parole, mentre nega la censura da parte della magistratura, propone di crearne di più.

La democrazia brasiliana è molto malata. Degli undici giudici della Corte suprema, sette sono stati nominati dalla sinistra (da Lula e Dilma Rousseff), uno dal centrosinistra (da Michel Temer) e solo due dalla destra (da Jair Bolsonaro). E, da come agiscono politicamente, si può affermare che ci sono molte affinità tra la magistratura e l’Esecutivo. Secondo la Costituzione, il potere legislativo ha il compito di frenare gli eccessi commessi da alcuni giudici, ma i presidenti della Camera e del Senato hanno evitato di assumersi questa responsabilità (principalmente il presidente del Senato, Rodrigo Pacheco). Il fatto è che, senza entrare nel merito delle accuse di Musk a Moraes, in Brasile la libertà di espressione è innegabilmente compromessa.

(*) Economista e scrittore

Aggiornato il 15 aprile 2024 alle ore 10:49