Il fenomeno del jihadismo – e possiamo definirlo “fenomeno” a causa della sua origine e della relativa economia creatasi intorno – è una manifestazione di potere terroristico che utilizza il saccheggio come “strumento commerciale”, soprattutto delle armi, coperto dal mantello della “guerra” per l’affermazione di un islamismo radicale. Quindi, in generale, il sistema socio-economico che nasce dal jihadismo si concretizza con l’obiettivo di creare uno Stato islamico dove la legge è la sharia, e che si sostiene con una peculiare tipologia di “economia di guerra”.
Brevemente: il concetto religioso/politico di Stato islamico come organizzazione jihadista, sunnita di ispirazione salafita, nasce nel 2003, durante la seconda Guerra del Golfo, combattuta tra Stati Uniti più alleati, contro l’Iraq. Così, tre anni dopo cinque organizzazioni estremiste islamiche, compreso Al-Qaeda, dettero vita allo Stato islamico dell’Iraq. Poi si espanse in Siria cambiando nome in “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, ovvero in lingua araba al-Dawlah al-Islamiyyah fi al-Iraq wa al-Sham, abbreviato Da’ash, quindi Isis. L’organizzazione si dotò di un capo, Abu Bakr al-Baghdadi, autoproclamatosi califfo di uno Stato senza confini certi e non con continuità territoriale, ma con il comune denominatore di proclamare il jihad, tradotto impropriamente “guerra santa” – il significato è altro – espandendosi in tutta l’area, e dopo il 2011 nel continente africano dove trovò terreno estremamente fertile. Dopo la cacciata, nel 2017, dei jihadisti dell’Isis dalle zone irachene e siriane occupate, i miliziani si organizzarono in varie forme anche su scala internazionale, ma la massima aggregazione si verifico nell’area centrale africana.
Ma come ha fatto lo Stato islamico a diventare così influente in Africa? In realtà la diffusione e l’attecchimento in Africa del jihadismo era solo una questione di tempo e di occasioni, infatti l’afflusso di jihadisti ex Isis dal Vicino oriente in Africa non ha fatto altro che risvegliare le cellule “dormienti” estremiste islamiche africane. Così questi gruppi armati, più o meno organizzati, hanno manifestato la loro presenza soprattutto con la diffusione del terrore perpetrando numerosi attacchi contro civili e militari africani, non risparmiando le maestranze delle organizzazioni umanitarie. In questi ultimi 10 anni l’attività di questi gruppi islamici radicali e la loro influenza è aumentata formando una rete di affiliati con diffusione globalizzata nel continente.
Oggi assistiamo a una proliferazione di gruppi di estremisti islamici, alcuni anche tendenzialmente anarchici, che stanno occupando e dominando aree sempre più vaste, che vanno dall’area del Sahel, dunque Mali, Ciad, Burkina Faso, Niger, al Corno d’Africa, attraversando Camerun e Nigeria, colpendo recentemente anche il nord del Togo, Benin, oltre che Costa d’Avorio e Ghana. L’Africa è così diventata un teatro geografico di stabilizzazione per i vari gruppi jihadisti che effettuano continui attacchi terroristici. Una realtà che ha avuto slancio dopo la cosiddetta Primavera araba, ma che è stata il continuo di una destabilizzazione del Medio oriente iniziata con l’attacco all’Iraq di Saddam Hussein a inizio 1991. Ora, oltre piccoli gruppi di islamisti che sotto la propria bandiera di estremisti massacrano, rapiscono anche a scopo di riscatto, stuprano, saccheggiano, indottrinano bambini soldato, dominano la scena storici gruppi come l’Aqim, Al-Qaeda nel Maghreb islamico, il famigerato Boko Haram (tradotto l’educazione occidentale è vietata, haram), presente nel nord della Nigeria, che dedica le sue azioni al rapimento di ragazze e bambine cristiane a scopo di utilizzarle come schiave del sesso, e convertirle all’Islam, oltre che uccidere cristiani e distruggere chiese. Inoltre, Al-Shabaab, Al-Mourabitoun, Ansar al-Sharia e l’Iswap, Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico. Dal 2019 operano anche l’Adf, Forze democratiche alleate, movimento islamista ugandese, e il gruppo islamista mozambicano Ansar al-Sunna, i cui miliziani sono conosciuti come al-Shabaab, da non confonderli con i combattenti del gruppo somalo al-Shabaab, affiliato ad al-Qaeda.
Tuttavia non possiamo semplificare la spiegazione della diffusione di questi movimenti jihadisti in un modello schematico; si deve valutare ogni gruppo singolarmente nel contesto sociale in cui opera. Nell’area del Sahel, per esempio, si è verificata una proiezione del jihad algerino che gradualmente si è radicato alleandosi prima con al-Qaeda, poi una parte del gruppo si è scisso unendosi allo Stato islamico. In Nigeria, Boko Haram ha raccolto quella fetta di uomini anche emarginati insofferenti alla repressione statale, che come una sorta di movimento sociale di massa, si sono rivolti al jihadismo. Come in Africa centrale, dove un gruppo di guerriglia già esistente, le Adf, Forze democratiche alleate, hanno trovato la loro realizzazione organizzativa nello Stato islamico.
I vari jihadismi si innestano quindi in situazioni di crisi, di tensione, di carenza di protezione statale, o dove lo Stato è violento, ma anche dove esistono cronici conflitti interetnici, non gestiti dallo Stato. Comunque, questi gruppi sono spesso in contrasto armato fra loro, eliminando reciprocamente i rispettivi leader. Queste reti terroristiche che si stanno evolvendo a un ritmo rapido e allarmante, stanno ora mettendo in comune le loro risorse, ovvero combattenti, competenze e soprattutto finanziamenti, affinando le loro capacità offensive con nuove tecnologie soprattutto droni. A questo livello della questione “espansionismo jihadista”, non è più ipotizzabile un controllo dell’accrescimento terroristico islamico da parte di Stati golpisti o Stati malati da presidenze decennali. Solo un intervento esterno con mezzi militari e strategici adeguati può frenare il dilagare di un islamismo che ambisce a sottomettere l’Africa alla sharia, ai danni soprattutto degli oltre 600 milioni di cristiani abitanti nel continente.
Concludendo, l’attuale organizzazione dello Stato islamico nel Sahel risulta strutturata in una catena di comando guidata dal Consiglio della Shura presieduto da un wali, che governa organismi strategici, come logistico, militare, legale con giudici e polizia islamica, una struttura per combattenti stranieri e una addetta alle comunicazioni. Inoltre da un rapporto delle Nazioni unite del 2025, suffragata da altre fonti di analisi, risulta che il leader dello Stato islamico in Somalia, Abdul Qadir Mumin, sia addirittura il nuovo califfo globale dello Stato islamico.
Aggiornato il 04 novembre 2025 alle ore 09:57
