Ma quante volte bisognerà crocifiggere Cristo (nei suoi numerosi volti di cristiano, musulmano, ebreo) per dire: Ora basta!? Da decine di migliaia di anni, quanti genocidi si sono impressi, invendicati, sul suo sudario di morte? Ora, quale sarebbe il mediatore globale con il compito di strappare le vittime dalle braccia dei loro carnefici? Quell’entità tragicomica denominata Onu?
Quanti si sono dimenticati le immani tragedie del Ruanda, della Bosnia e di moltissimi altri interventi (pseudo) umanitari, in cui le ridicole regole di ingaggio dei suoi contingenti non hanno impedito il massacro di civili innocenti; né condotto al disarmo di loro aggressori, che per di più (com’è capitato) tagliavano teste e ci giocavano a calcio sotto gli occhi degli stessi Caschi Blu?
Chi si è dimenticato dell’immane strage di civili avvenuta nel luglio 1995 nella città di Srebrenica, durante la guerra in Bosnia-Erzegovina, quando i miliziani serbi di Ratko Mladic facevano il tiro a segno su bambini, donne e anziani all’interno della zona protetta dell’Onu, posta sotto la tutela del contingente olandese dell’Unprofor, che di fatto ha contribuito al massacro? Perché non si sono bombardate a tappeto ogni santo giorno le colline dove si nascondevano i cecchini serbi?
Tralasciando poi l’infame comportamento delle truppe Onu in Ruanda, immortalato da numerosi film di denuncia (vedi: Hotel Ruanda), vogliamo per caso citare il contingente Unifil, che avrebbe dovuto disarmare e impedire a Hezbollah di installare le sue batterie di missili all’interno della zona-cuscinetto, a ridosso della frontiera tra Libano e Israele?
Allora, parlando oggi di Sudan, passiamo in rassegna l’ultima indecenza derivante dall’impotenza del Consiglio di Sicurezza e del Palazzo di Vetro nel suo insieme, ormai terzomondista e affollato di dittatori e autocrati di ogni risma, che fanno vera e propria macelleria sociale e, in non pochi casi, perfino stragi (impunite) dei loro popoli.
Innanzitutto, per una necessaria premessa sulla situazione atroce e drammatica in Sudan, occorre dire due parole sugli sciagurati attori che hanno reso quella sfortunata Nazione africana un deserto di rovine, con milioni di profughi e centinaia di migliaia di vittime in accompagnamento, pari a un numero imprecisato di volte quelle di Gaza. Queste ultime onorate e commentate ogni giorno da tutto il mondo, osannate da folle sterminate di manifestanti ProPal in tutte le piazze benestanti dell’Occidente. All’incirca due anni e mezzo fa, è allora che iniziarono feroci combattimenti tra l’esercito regolare sudanese (o Saf): Sudanese Armed Forces e i paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) che, secondo fonti affidabili cui fa riferimento la grande stampa internazionale, hanno fatto non meno di 400mila morti, a causa di bombardamenti, assassinii e carestie. Stragi che sono avvenute principalmente per mano dei paramilitari, finanziati e armati dagli Emirati Arabi Uniti (Uae, in inglese), altro membro prediletto dell’Onu, ipnotizzato dalle sue generose donazioni. Stando a quotidiani wokist come il New York Times, loro complici sarebbero, ovviamente in modo indiretto, Donald Trump (che, attraverso intermediari, avrebbe investito negli Emirati 2 miliardi di dollari in cripto valute), Marco Rubio e un gruppo di grandi compagnie americane, come la N.b.a. (Associazione Nazionale del basket, che ha una grande influenza su Abu Dhabi) e la Disney, che vantano importanti partecipazioni negli Emirati, per i quali i grandi eventi sportivi rappresentano un ricchissimo business e una vetrina mondiali.
Eppure, sarà proprio con Abu Dhabi che occorrerà parlare, visto che gli emiratini sono il primo fornitore bellico dei paramilitari, con enormi carichi di armi trasferiti via mare.
Del resto, fin dall’inizio del conflitto nel 2023, gli Uea hanno assicurato all’Rsf la rete di supporto logistico che attraversa diversi Stati, come Ciad, Libia e Repubblica Centroafricana: collaborazione che non si è interrotta nemmeno di fronte alle attuali stragi. Come l’ultima di El Fasher, una vera e propria “discesa agli inferi” per quelle popolazioni inermi, come ha dichiarato il coordinatore per gli affari umanitari dell’Onu, Tom Fletcher, senza peraltro mai sognarsi di invocare un intervento militare a fini umanitari, per mettere fine a un simile scempio che lui conosce meglio di tutti. Infatti, se la Giustizia di Dio è sempre molto in là da venire, perché la nostra non potrebbe agire assai più rapidamente? E, come l’Onu, il mondo libero, girando lo sguardo colpevole da un’altra parte, ha lasciato che i paramilitari portassero a compimento la loro opera sciagurata di annientamento, accerchiando senza vie di fuga centinaia di migliaia di persone nella regione di El Fasher, per dare poi avvio a una forsennata campagna di esecuzioni di massa. Così, in un crescendo di inarrestabile follia, centinaia di pazienti sono stati trucidati all’interno dell’unico ospedale funzionante, mentre molte altre persone sono state arse vive, o costrette a scavarsi la fossa e poi seppellite ancora in vita!
I paramilitari dell’Rsf sono entrati di casa in casa, uccidendo tutti coloro che si trovavano all’interno, ed eliminando sul loro cammino i disabili che non si erano potuti sottrarre alla cattura.
Simili racconti del terrore sono stati fatti sia dai sopravvissuti, che dalle associazioni umanitarie presenti sul posto, poi confermati dalle immagini satellitari sui bagni di sangue (che hanno colorato di rosso ampie porzioni del terreno circostante) e dai video diffusi sui social dagli stessi paramilitari. Gran parte della documentazione video viene dalla Yale Humaniatrian Research Lab che, per la pubblicazione dei suoi report in tempo reale, analizza le immagini open-source satellitari e altri tipi di dati oggettivi. Così, in poco più di una settimana, come dimostrano i dati accertati, i miliziani hanno ucciso e aggredito sessualmente, oltre ogni immaginabile limite, la popolazione civile.
Nel solo 2023 si è assistito allo sterminio per mano dei miliziani dei Masalit del Nord Darfour: nella città di El Geniena sono state uccise dalle 10mila alle 15mila persone, ovvero quasi tutti i suoi abitanti. E questo massacro ulteriore si sarebbe potuto evitare, se il Sud Sudan e l’Uganda (Stati africani collaborazionisti, molto distanti geograficamente dai remoti sponsor emiratini dell’Rsf) avessero evitato di inviare armi e carburante agli assalitori, a sostegno di un’economia di guerra vitale per la loro sopravvivenza.
Per capire la logica in cui si muovono gli Uae nella regione, basti dire che le Rsf vengono utilizzate, oltre a impedire lo sviluppo di una democrazia filo-occidentale a Khartoum, per garantire sia le forniture sudanesi di oro (nel solo 2022 sono state estratte circa 19 tonnellate), che la sicurezza delle coste del Mar Rosso. In questo, l’America ha le sue belle responsabilità, visto che Trump ha preferito non nominare un suo inviato speciale per il Sudan, lasciando che siano l’Arabia Saudita, l’Egitto e gli Emirati a fare da mediatori per la pace, con iniziative finora del tutto inconcludenti. Eppure, basterebbe la minaccia di Trump di sospendere le forniture di armi americane, fin tanto che gli emirati sosterranno le Rsf.
Domanda: quando anche l’Europa capirà che tutta l’Africa, e con lei l’Occidente, sono ad alto rischio, se un giorno nel Sudan governasse la feroce milizia delle Rsf? Perché, poi, la nostra neutralità aiuta gli aggressori, e mai le loro vittime!
Aggiornato il 14 novembre 2025 alle ore 10:20
