Di chi è l’Europa? Sua: cioè, di Vladimir Putin. I precedenti per lui, però, non promettono bene: basti pensare alla sorte di Adolf Hitler e Napoleone Bonaparte, in cronologia inversa. Pertanto, è ipotizzabile che più grandi saranno le sue ambizioni, maggiore sarà la sua Waterloo. Ma, andrà veramente così, o stavolta il Destino truccherà le carte a nostro svantaggio?
Facendo un po’ il verso al Manzoni, a volte uno la “sfortuna se la dà da solo”, perché diciamo che noi, cioè l’Europa, detta “Vecchio Continente” (chissà mai per quale ragione, vero?), non più vichingo né teutone, abbiamo i muscoli atrofizzati da 80 anni di molle pacificazione per poter reagire con la forza, rispondendo per le rime al prepotente di turno. E meno male, visto che per ben due volte nel corso del XX seolo i demoni imperiali europei hanno spinto il mondo intero nell’abisso. Ma, mentre nella prima delle due guerre mondiali la Russia zarista sbagliò tutto, sia in tema di alleanze che di preparazione militare (rivelatasi del tutto carente), nel conflitto del 1940-45 l’Unione Sovietica, sua succedanea, aveva sacrificato 20 milioni di vite russe per arrivare vittoriosa a Berlino e farla così finita con il nazismo.
Però, ora qualcuno che ancora ragioni dalle parti di Mosca dovrebbe far capire a Putin che la Terza Guerra Mondiale (il cui terreno di battaglia sarà ancora una volta inevitabilmente l’Europa) potrebbe far scomparire proprio la sua Grande Russia dalla carta geografica.
Ma, se non ci sono consiglieri giusti nella sua Patria, allora sarà bene che l’Europa gli formuli un’offerta che non può rifiutare. E, per farlo, l’Occidente (sempre che l’America trumpiana ci stia), non ha che da praticare contestualmente due vie, che si rafforzano a vicenda.
La prima, è quella di ammettere che la guerra di difesa dell’Ucraina è anche e soprattutto la nostra, e quindi non ci resterà che agire di conseguenza, consegnando a Kiev tutto il materiale bellico di cui ha bisogno, compresi missili in grado di colpire molto in profondità il territorio russo.
La seconda, di più lungo respiro, consiste nel praticare la dissuasione attraverso un riarmo molto serio e rapido dei Paesi dell’Unione aderenti alla Nato, evitando di disperdere risorse comuni con inutili duplicazioni e gelosie di apparati militar-industriali nazionali. E, in tal senso, la prima frontiera, quella degli Stati Baltici, è da rafforzare in via assolutamente prioritaria, creando una sorta di linea Sigfrido 2.0, in cui stavolta la difesa avanzata dovrà avvalersi di sofisticati strumenti ultramoderni, come batterie di droni a corto, medio e lungo raggio, e l’Ew (Electronic warfare) per il disturbo dei sistemi Gps di missili e droni nemici.
Questo perché Putin, per poter continuare impunito la sua guerra “patriottica”, deve sperare che la “molle” Europa resti tale sino alla fine, quando le sue enormi risorse industriali, finanziarie, energetiche e di numerosità delle truppe consentano lo sfondamento dell’attuale fronte. Conclamando così la conquista di tutti i territori ex ucraini annessi alla Federazione Russa, come da modifica costituzionale del 2022. Compresa la chiusura del Mar Nero a ciò che resterà dell’Ucraina, dopo che sarà stata costretta a disarmare e a entrare in un’orbita ritenuta idonea di vassallaggio, alla stregua della Bielorussia. Esiste certo una terza via, sempre molto stretta, che passa “churchillianamente” tra la guerra da un lato, e il disonore da quello opposto. Sennonché, nel nostro caso il percorso è inverso: partiamo dal sostegno per proxy a Volodymyr Zelensky contro l’invasione russa dell’Ucraina, per giungere a un accordo sempre e comunque disonorevole con Vladimir Putin, dato che alla fine, per vigliaccheria e opportunismo, consegneremo alla storia un’Ucraina a dir poco smembrata, isolata e fortemente impoverita.
Questo perché Mosca ha fatto chiaramente capire che Kiev non potrà stare né nella Nato, né nell’Unione Europea, pena una ripresa in grande stile dell’attuale guerra di invasione, alla quale senza l’America non potremo rispondere né ora, né nei prossimi trenta anni, accettando da soli lo scontro diretto con la Federazione Russa. Ciò detto, sarà meglio, tuttavia, guardare al di là delle nostre piaghe, dato che prima o poi, finita l’attuale guerra − che, se dovesse andare avanti fino a giugno 2026 batterebbe il record di durata della Prima Guerra Mondiale − anche per Putin si profila una resa dei conti all’interno del suo regime e nei confronti del popolo russo. Questo perché, se le cose dovessero andare avanti così (e niente fa pensare che l’Ucraina possa davvero arrendersi, auto consegnandosi a Putin), allora anche il neo-Zar, come il suo omologo del 14-18, dovrà fare i conti con la sua mancanza di visione, dato che aveva promesso di conquistare Kiev in 15 giorni e, invece, sono quattro anni che i suoi soldati cadono a centinaia di migliaia ogni anno sulla linea del fronte. Maggiori saranno le perdite russe, più grande sarà la crisi che Putin dovrà fronteggiare alla fine delle ostilità. Anche l’attuale tattica di aggirare alle spalle gli ucraini, infiltrando oltre la linea del fronte piccoli gruppi di assaltatori, non potrà cambiare la sorte di un susseguente attacco di massa che, più o meno, contabilizzerà le stesse perdite degli assalti russi degli anni precedenti, ordinati dagli alti comandi prima dell’arrivo del permafrost, che rende molto più difficile l’avanzata delle truppe russe.
E sono proprio le cifre del conflitto, così come riportate da accreditate fonti internazionali, a raccontare questa terribile storia moderna di sacrifici umani. Il numero complessivo di caduti, tra morti e feriti, nell’esercito d’invasione russo si collocherebbe tra le 984mila e il milione e mezzo di unità, tra cui si stima che i morti vadano da un minimo di 190mila a un massimo di 480mila soldati. Qualcosa, quindi, che viaggia in un rapporto da uno a cinque a sfavore degli assalitori, come logico aspettarsi in tutte le guerre di invasione, in cui il vantaggio è per chi si difende. Pertanto, di questo passo, la conquista con le armi dell’intero Donbass potrebbe addirittura richiedere il raddoppio del numero attuale dei caduti russi. Poi, verrebbe da dire, la strategia putiniana di fare terra bruciata del territorio invaso, radendo al suolo ogni tipo di infrastruttura industriale e di distribuzione dell’energia, non tiene conto di chi, al termine delle ostilità, dovrà pagare i conti della ricostruzione dell’Ucraina, di cui dovrà inevitabilmente farsi carico lo stesso popolo russo.
E come reagiranno i russi, che oggi soffrono già la crisi economica in atto, quando cesserà per forza di cose la manna del doping statale per sostenere l’attuale sforzo bellico? Chi terrà a freno i milioni di disoccupati russi di domani, ai quali si affiancherà un esercito di reduci invalidi e senza lavoro? A meno che, come accadde in altri contesti storici, Putin non miri a una guerra permanente contro l’Occidente, pur di mantenere un alto livello di occupazione drogata: il che non è escluso. Ma ogni missile russo che cade su insediamenti civili e fa strage di cittadini inermi ucraini, rappresenta eticamente un chiodo in più sulla bara del regime russo, sotto cui nessuno dei Paesi dell’Europa dell’Est vorrebbe mai tornare a vivere per nessun motivo al mondo. Ma, Putin dovrebbe sapere che, se le armi fanno terra bruciata dei territori, l’anima di una Nazione rimane pur sempre immortale.
Aggiornato il 17 novembre 2025 alle ore 10:11
