Droni d’inverno: e venne il gelo

Come sono i droni d’inverno? Stupidi e letali, perché mirano alla sofferenza dei non combattenti, bambini, donne e anziani rifugiati nei quartieri sotto quotidiano assedio dal cielo. Vigliacchi, quindi, fino in fondo, perché mirano a rendere invivibili i luoghi abitati, come città, piccoli paesi, fabbriche e centri commerciali, privandoli di riscaldamento e luce artificiale. A Mosca, per vincere (perché la resistenza degli ucraini assediati non è infinita!) basta per questo prendere accuratamente di mira (grazie a spie e infiltrati) qualsiasi cosa produca elettricità, con l’aggiunta di una salva quotidiana di missili costantemente puntati su condomini affollati, o sui luoghi di stazionamento in cui le poche persone rimaste cercano beni di prima necessità. È dunque questa la guerra di Vladimir Putin? Provocare la fuga all’estero come rifugiati temporanei di metà della popolazione ucraina, in modo che Kiev (come sta puntualmente accadendo), non abbia più né soldati di leva, né volontari? Perché una cosa è chiara: senza un intervento serio e diretto della Nato (che mai ci sarà) a sostegno di Volodymyr Zelensky, non c’è che una pace disonorevole, in cui a perdere non sarà stata solo l’Ucraina ma l’Europa delle democrazie, che si sono giocate con la loro pusillanimità anche l’alleato di sempre, l’America, dato che Donald Trump, esattamente come i suoi predecessori, non intende più pagare i nostri conti (storici, militari ed economici). Molti si domandano: ma che cosa ci farà poi Putin con un’Ucraina fatta a pezzi e spopolata? Chi metterà le parecchie centinaia di miliardi destinati alla sua ricostruzione, se non lo Stato russo, tentando poi di bilanciare queste spese con lo sfruttamento delle notevoli risorse minerarie del Donbass per far quadrare i suoi conti?

In altri interventi precedenti, ci siamo già problematicamente chiesti se Putin, una volta espropriate definitivamente le terre ucraine conquistate, manderà a lavorare in quel Paese devastato i milioni di lavoratori russi che rimarranno disoccupati, dopo che sul territorio russo avranno chiuso le fabbriche di armi e gli indotti relativi. E, noi dopo di allora, compreremo le terre rare che resteranno in quel che rimarrà dell’Ucraina, di cui Trump si è già assicurato lo sfruttamento? Ma, poi, siamo davvero sicuri che, una volta mandato a casa Zelensky e ottenuto il consenso dello zar per la spartizione dell’Ucraina l’Europa sarà, finalmente, pacificata alle sue frontiere slave? Non depone benissimo per il destino futuro dell’Unione la tendenza di alcuni Paesi dell’Est Europa di ritornare più o meno volontariamente (almeno, dal punto di vista politico) nella sfera di influenza di Mosca, di cui condividono i valori putiniani antioccidentali, come sovranismo, anti-multiculturarilismo e diritto alla conservazione dell’identità nazionale, che va difesa dall’assalto dell’immigrazione più o meno incontrollata e dal globalismo incipiente. Molto verosimilmente, quel che attende l’Europa sarà una nuova deriva scissionista, per cui il suo Est è destinato a rientrare progressivamente nell’alveo dell’influenza russa, stravolgendo le attuali alleanze. Per questo faremmo bene a evitare qualsiasi discorso di nuove adesioni, per un futuro allargamento dell’Unione in questa direzione. Quanto alla pacificazione post-bellica dell’Ucraina, esistono in merito notevoli dubbi: in primo luogo, una macchina da guerra perfettamente oliata come quella putiniana difficilmente si arresterà in corsa.

Questo perché oltreconfine, ci sono sempre comunità russofone “oppresse” da proteggere, o territori storicamente da sempre ricadenti nella sfera d’influenza russa (come i Paesi Baltici) da riconquistare con la forza. E tutto ciò sempre nell’ottica di quelle famose e artificiali ragioni di sicurezza, che sono soltanto il pretesto per riallargare gli attuali confini, recuperando le storiche conquiste territoriali di Pietro il grande. Quindi, Putin, secondo Financial Times, come sta cercando di piegare attualmente l’Ucraina? Nel modo più crudele, per l’era moderna: “spegnendo”, per così dire, le luci sull’intero Paese. Ma siccome gli ucraini, testardi, resistono anche a lume di candela, allora non c’è che da spingere a fondo l’acceleratore e puntare allo scacco matto nucleare di Zaporizhzhia per mettere con le spalle al muro il resto del mondo. Vediamo come. All’inizio di novembre, si è raggiunto un accordo locale russo-ucraino per inviare un’équipe di pronto intervento, con il compito di ripristinare gli impianti elettrici d’importanza vitale per il raffreddamento e la salvaguardia del buon funzionamento del reattore, dato che da ottobre sono fuori uso sia la condotta elettrica principale, che quella di backup energetico in grado di fornire l’alimentazione in caso di interruzione della rete elettrica esterna. Motivo per cui da più di un mese sono in azione i generatori diesel di emergenza che, però, non danno nessuna garanzia di sicurezza oltre un certo periodo di utilizzo ininterrotto che, secondo gli standard industriali per cui sono stati progettati i generatori, dovrebbero essere contenuto nelle 24 ore.

Onde per cui ogni giorno continuativo di funzionamento in più aumenta la probabilità di un serio guasto meccanico dei generatori diesel. Nel frattempo, i livelli dell’acqua del bacino di raffreddamento del reattore rimangono pericolosamente bassi, il che crea un rischio serio per tutto il complesso della centrale in merito al funzionamento della rete elettrica di emergenza e alle capacità di raffreddamento. Per capire bene il punto, basterà dire ciò che ha provocato la fusione di due dei reattori giapponesi di Fukushima, a seguito del terremoto superiore a nove della scala Richter, fu il collasso totale dell’impianto elettrico della centrale. E questo accadde semplicemente perché, a pannelli di controllo spenti, gli operatori furono obbligati a prendere decisioni vitali al buio, senza sapere quali fossero i reali livelli di temperatura, pressione e dell’acqua del reattore. Ebbene, è proprio questo scenario che si sta profilando anche a Zaporizhzhia, ma stavolta non per colpa della natura, bensì dell’uomo! Per capirci sulla questione: i moderni impianti civili nucleari in arresto a freddo necessitano di tre-quattro megawatt (in grado di illuminare migliaia di abitazioni!) di corrente elettrica per il solo funzionamento dei sistemi essenziali di sicurezza. Quindi, Zaporizhzhia è vicina al limite critico e, se dovesse superarlo, l’effetto che si genererebbe sarebbe pari a decine di volte il disastro di Chernobyl. Se l’impatto economico-ambientale di Fukushima è stato stimato in 500 miliardi di dollari, quello eventuale di Zaporizhzhia sull’intera Europa avrebbe un costo molto maggiore. Allora, con quale fuoco nucleare sta giocando Putin, rifiutandosi di restituire sotto il controllo ucraino la centrale di Zaporizhzhia?

Aggiornato il 21 novembre 2025 alle ore 10:33