Digitalizzazione: da cittadini ci ha reso sudditi

La digitalizzazione, così come è stata concepita e attuata, è una “boiata pazzesca”. Una volta gli uffici pubblici, con tutti i limiti, funzionavano perché esistevano gli sportelli fisici e non solo virtuali. Il cittadino contribuente si poteva recare presso il pubblico ufficio e aveva la possibilità di interloquire con un funzionario in carne e ossa, per risolvere il suo problema di carattere amministrativo. Oggi, con tutte le pseudo-tecnologie informatiche a disposizione della Pubblica amministrazione, tutta l’attività amministrativa doveva essere più semplice e soprattutto più rapida. Ci si recava negli uffici, si prendeva il numeretto, si aspettava il proprio turno e, se non ci fossero state “complicazioni”, avremmo avuto la possibilità di uscire dall’incontro con il problema risolto. Provate con la digitalizzazione della Pubblica amministrazione a rinnovare la carta d’identità o il passaporto: vi renderete conto che gli investimenti miliardari nella digitalizzazione, a carico della fiscalità generale, hanno semplificato la vita non del cittadino ma del pubblico funzionario.

L’impiegato pubblico è protetto dalla barriera insormontabile che impone alle persone, obtorto collo, di utilizzare il supporto informatico per “dialogare” con la Pa. Il cosiddetto smart working – o meglio, il lavoro da remoto – è stato per il dipendente pubblico un privilegio a danno degli utenti del pubblico servizio. I dipendenti pubblici avrebbero voluto che il lavoro a distanza si perpetuasse sine die. Per poter comunicare con la burocrazia pubblica, ci si deve dotare di una serie di strumenti che fanno impazzire le persone comuni. Se si esercita un’attività professionale o d’impresa, ci si deve dotare di una pec che costa pochi euro ma, se moltiplicati per decine di milioni di persone fisiche e giuridiche, questo è diventato un business miliardario per le multinazionali che operano in un mercato oligopolistico. Se si svolge l’ufficio di amministratore di una società, si deve avere la smart card e la firma elettronica, che costa diverse decine di euro. Lo stesso se si svolge l’attività di controllo sulle società. Le persone comuni devono avere lo spid, che per gli anziani è un vero rompicapo.

La digitalizzazione è diventata una manna per il burocrate pubblico e soprattutto un ulteriore costo per professionisti e imprese. Il paradosso è che non è la Pubblica amministrazione al servizio del cittadino, ma è il suddito che deve risolvere da solo i problemi frapposti dalla burocrazia. Il self-service bancario è servito alle aziende di credito, per ridurre gli sportelli bancari e il personale dipendente, garantendo a esse minori costi di gestione e, quindi, un maggiore margine operativo della loro attività. Mi chiedo perché, se ormai la quasi totalità delle attività della Pubblica amministrazione è digitalizzata, si devono aspettare mesi per avere il rinnovo della carta d’identità o del passaporto? Se il “suddito” deve operare come utente utilizzando il self-service informatico, perché la Pubblica amministrazione lamenta carenze di personale?

Vi racconto le vicissitudini di un giovane medico greco, che si laureerà il prossimo 27 giugno all’Università de la Sapienza di Roma. Aveva intenzione di partecipare al concorso per entrare in una scuola di specializzazione. I termini perentori previsti per il concorso prevedevano la presentazione della domanda entro il primo giugno 2023. Per poter concorrere, la domanda doveva essere fatta obbligatoriamente on-line. A parte il problema linguistico, il giovane medico ha fatto il corso di laurea di Medicina in lingua inglese. Il neo-professionista intendeva restare in Italia, provando ad iscriversi utilizzando le proprie credenziali. Non riuscendo a entrare nel sistema, il 29 maggio richiede nuove credenziali. Via mail, gli viene risposto che le sue credenziali erano state ripristinate. Prova di nuovo e, ancora una volta, ha problemi di accesso e non riesce a iscriversi al concorso, malgrado ci tenesse molto. Richiede ulteriori chiarimenti e il 5 giugno gli comunicano che, ormai, i termini per partecipare al concorso sono scaduti.

Sconcertato, si rivolge a un legale il quale, studiata la pratica, si rende conto che non può risolvere il problema, in quanto non è possibile fare ricorso, poiché non esiste un atto amministrativo. In sostanza, l’avvocato lo informa che fare ricorso è inutile, per il fatto che non ci sono i tempi tecnici per poter far valere i suoi diritti, in quanto il corso inizia il 14 luglio prossimo. Il danno per il giovane medico è irreparabile, perché dovrà tornare in Grecia, dove proverà a entrare nella scuola di specializzazione nel suo Paese, per non perdere un anno.

È ancora più grave la beffa per il nostro Stato, che ha investito soldi pubblici per formare il medico che, suo malgrado, svolgerà la sua professione in un altro Paese. Con uno sportello al pubblico il giovane medico avrebbe regolarmente partecipato al concorso. Se la Pubblica amministrazione si dotasse anche di uno sportello fisico per ogni attività amministrativa, ne trarrebbe beneficio chi, per difficoltà nell’uso delle “moderne tecnologie” o per qualsiasi altra ragione, si sente un suddito piuttosto che un cittadino!

Aggiornato il 22 giugno 2023 alle ore 11:36