Un furto di informazioni travestito da battaglia nobile, un procedimento sommario, accudito sotto l’egida della tutela al minore. C’è chi commenta così la rinominata “Chat Control”, proposta danese per la prevenzione dei minori da abusi sessuali online. Una risposta di buon senso firmata Ue che non manca di sollevare interrogativi e reazioni contrarie da parte di chi si sente privare non solo del proprio diritto alla privacy, ma anche – in maniera non troppo velata – della propria libertà di comunicazione. È davvero così? Ufficialmente denominata Csar (Child sexual abuse regulation), si propone come risoluto intervento contro la diffusione di materiale pedopornografico online. Nel concreto, sarebbe compito di un algoritmo scansionare i messaggi di chat ed e-mail di oltre 450 milioni di europei, segnalando alle autorità competenti i profili sospetti di molestie sui minori. Da anni, le principali agenzie di sicurezza richiedono un pass speciale di accesso alle reti di dialogo online, tale da agevolare il contrasto alla criminalità.
Si tratta, non a caso, di un’idea risalente al 2022 della Commissione europea, iniziatrice di un regolamento che avrebbe previsto controlli indiscriminati e automatici, aprendo così una frattura nel meccanismo di crittografia end to end. Oggi, invece, sembra che le critiche abbiano condotto l'élite di Bruxelles verso più miti consigli. L’ultima parola, infatti, spetterebbe alle piattaforme digitali, responsabili del consenso per la scansione delle comunicazioni. Una modifica sostanziale che, tuttavia, non placa gli scontenti. A fare da apri-fila sono realtà tech come Proton, Signal e Meta che, brandendo l’ascia della sicurezza informatica, si esprimono avverse a Chat Control. Da un lato, infatti, il rischio di un controllore senza uniforme mette alla berlina la fiducia degli utenti, indirizzandoli, dunque, verso altre piattaforme.
Dall’altro, l’ombra dei falsi positivi – cioè contenuti innocui erroneamente segnalati come illeciti – costituirebbe un freno implicito ma consistente alla libera espressione, nonché una culla per potenziali ricorsi legali degli utenti. Proprio quest’ultima ragione contrasta l’idea di chi, invece, non trova fonti di preoccupazione, confidando nella sola buona fede del singolo. Della serie: “Male non fare, paura non avere”. Una visione denunciata come troppo semplicistica della realtà in analisi. Sorge, dunque, spontanea una domanda: cosa potrebbe, davvero, indurre le piattaforme a fornire il consenso a Chat Control? Probabilmente nulla, se non forse la propria reputazione. Un impegno profuso nella segnalazione e rimozione di simili contenuti potrebbe dare agli utenti la parvenza di un ambiente sicuro e responsabile in cui navigare, specie per le famiglie e i soggetti più vulnerabili. La mattina del 26 novembre il Coreper ha approvato il nuovo testo danese. Sarà, quindi, l’inizio di un “controllo di massa”? Occorre attendere il voto definitivo del Consiglio Ue, l’8 e il 9 dicembre.
Nonostante l’astensione dell’Italia al Comitato dei rappresentanti permanenti, emergono le perplessità del governo che condivide la lotta agli abusi online, ma non accetta forme di controllo massivo di chat e dati personali. Per fermare il provvedimento occorre una minoranza di blocco, cioè il no di almeno 4 Paesi con il 35 per cento della popolazione europea. A costituire l’ago della bilancia sarà la Germania, con circa 84 milioni di abitanti. È questa, dunque, la soluzione di chi si fa portavoce di un’Unione democratica e liberale? Beh, lo sapremo presto.
Aggiornato il 03 dicembre 2025 alle ore 10:53
