Il bluff di Monti è finito

Reintegro solo in casi «molto estremi e improbabili», assicura il premier Mario Monti. Ma è sempre stato così, non era questo il punto. Il problema sono i costi dell'incertezza, l'aumento dei ricorsi, la troppa discrezionalità dei giudici. Che la riforma rischia addirittura di accrescere. Sulla riforma del lavoro, come sintetizza De Bortoli in un tweet, «il Monti politico ha prevalso sul Monti economista». Peccato che all'Italia servisse un governo tecnico, mentre ora se ne ritrova uno politico nel senso deteriore.

L'esultanza di Bersani e dei sindacati e il silenzio delle imprese sono eloquenti. E non illudiamoci che stampa e investitori esteri non abbiano colto il sostanziale cedimento alle forze della conservazione sociale. Molti osservatori giudicano positivo che i partiti siano riusciti a risolvere la grana, ma i mercati non apprezzeranno in questo una «nuova prova di raziocinio e di maturità», come sostiene Dario Di Vico, bensì il primo preoccupante granello nell'ingranaggio del governo Monti.

Questa non riforma smaschera ai loro occhi il "Bluff-Italia". Di fatto, per la prima volta, Monti ha accettato un vero e proprio veto. E quando per un governo la sopravvivenza diventa un valore prioritario sull'efficacia delle riforme, è un colpo all'autorità del premier e la strada verso l'immobilismo è imboccata. Con questo compromesso Monti ha anteposto alle riforme non solo il "tirare a campare", ma anche un disegno politico, quello della Grande Coalizione. Facile l'obiezione: Monti e Fornero hanno fatto quello che potevano, «bisogna essere soddisfatti», dice Mario Sechi, altrimenti il Pd rischiava di spaccarsi e far saltare il governo. Alla base c'è l'idea, fondata, che gli investitori temano più l'instabilità politica che una riforma troppo timida. E quindi meglio non compromettere le premesse di una Grande Coalizione con una rottura sull'articolo 18.

Il compromesso di oggi quindi può essere considerato a tutti gli effetti una prova tecnica di GC. Ma se è così, bisogna anche ammettere che l'esito non è affatto incoraggiante. Prelude a riforme sempre più sbiadite, inutili, persino dannose. L'idea di una GC in cui diverse forze politiche mettano mano ai nostri problemi strutturali nell'emergenza non è campata in aria. Sarebbe possibile se fosse limitata alle forze moderate e riformiste. Bisogna tuttavia fare i conti con quella che è da sempre la grande anomalia del sistema politico italiano. Se si pretende di mettere insieme una coalizione che va dai moderati ad un Pd a trazione Cgil, il rischio è che partorisca topolini rachitici come questa riforma.

L'articolo 18, invece, doveva offrire l'occasione per costringere il Pd a decidere una volta per tutte tra linea riformista o camussiana. Male che fosse andata, il sistema politico si sarebbe potuto scomporre/ricomporre attorno all'asse delle riforme, tra un "partito Monti" e un "partito Grecia". La foto di Vasto si sarebbe infranta sul muro di un nuovo, ampio fronte moderato. Uno scenario in cui anche i mercati avrebbero potuto intravedere finalmente una certa chiarezza nella politica italiana.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:36