Quando lo stato è criminogeno

Per fortuna non si è fatto male nessuno, e lo stesso procuratore capo di Bergamo ha chiarito che «non c'è mai stata una vera minaccia per gli ostaggi». Ma sarebbe sbagliato sminuire il blitz del 54enne Luigi Martinelli, che armato fino ai denti si è asserragliato nella sede dell'Agenzia delle Entrate di Romano di Lombardia prendendo in ostaggio una quindicina di impiegati. 

Un'azione isolata, scarsamente pianificata, ma comunque un salto di qualità nelle forme di protesta contro il fisco. Non più solo sit-in, minacce anonime o lettere-bomba. 

Sono sempre di più i contribuenti che escono dall'anonimato e ci mettono la propria faccia. In questo caso passando all'azione violenta in prima persona, ma più spesso compiendo atti di disobbedienza civile e persino di autolesionismo, fino al suicidio. 

I casi sono così numerosi che ieri a Bologna si è svolto un corteo delle vedove dei suicidi: mariti disperati, non pazzi, tanto meno evasori. 

Ovviamente la violenza, contro se stessi o gli altri, è sempre inaccettabile, ma qualche domanda bisogna porsela se solo in Italia si muore di tasse, se gli imprenditori si suicidano non per debiti ma per crediti, il più delle volte vantati nei confronti della pubblica amministrazione. 

La crisi uccide anche altrove in Europa, soprattutto in Grecia, ma ci si toglie la vita per debiti, un fallimento o la perdita del posto di lavoro. 

Qui da noi bisogna riconoscere che non è la crisi ad uccidere, almeno non direttamente. Da noi le aziende vengono schiantate dai meccanismi perversi di uno stato-padrone, che pretende di risanare il proprio bilancio non mettendosi a dieta, tagliando le proprie spese e ricchezze, ma inasprendo pressione e repressione fiscale sui cittadini. 

C'è chi come il direttore del Foglio Giuliano Ferrara punta l'indice contro certa retorica anti-tasse. Ma davvero qualcuno pensa che ad armare Martinelli, o a convincere Campaniello a cospargersi di benzina e a darsi fuoco, sia stato qualche abile retore, qualche campagna contro l'eccessiva pressione fiscale, e non siano state piuttosto le loro tormentate condizioni personali? 

Anche se oltre un certo limite le pretese fiscali dei governi calpestano i diritti naturali dei cittadini - almeno secondo il pensiero liberale - non è il livello di tassazione troppo elevato a scatenare queste forme di ribellione, ma sono i metodi di riscossione illiberali e soffocanti. 

Il meccanismo a tenaglia è tristemente noto: mancati pagamenti (spesso da parte della PA); impossibilità di assolvere gli oneri fiscali e contributivi; sanzione da parte del fisco, con sequestri, ipoteche e pignoramenti, che causano il blocco dell'attività e dell'accesso al credito. 

Non è forse un «crimine vessatorio» pretendere che il contribuente onori i propri debiti fiscali quando lo stato non è in grado di onorare i suoi debiti nei confronti di quello stesso contribuente? Non lo è forse pretendere che il contribuente paghi una parte cospicua della somma contestata prima che un giudice, tra l'altro non terzo, si esprima sul contenzioso tributario? 

Non si può generalizzare, ma in molte situazioni le pretese fiscali dello stato sembrano violare l'articolo 53 della Costituzione, il quale stabilisce che i cittadini «sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». 

In molti casi le aliquote Imu, sia sulla prima casa che sulle seconde, sembrano del tutto sproporzionate rispetto alla capacità contributiva che deriva dal mero possesso dell'immobile. 

Così come migliaia di euro di fatture non ancora incassate non producono la capacità contributiva da cui discendono le imposte che lo stato pretende di riscuotere. Ieri il segretario del Pdl Alfano ha presentato una proposta di legge per permettere la compensazione tra debiti fiscali e crediti con la Pa. 

Praticabile o meno, in questo momento, per le finanze pubbliche, una proposta di assoluta civiltà, che nessuno può permettersi di equiparare ad una forma di evasione, come ha fatto il premier Monti lunedì scorso. 

A stabilire se è da eroi o no resistere al fisco ci penserà la storia (ricordiamoci però che spesso nel corso dei secoli i "resistenti" sono passati alla storia proprio come eroi), ma di sicuro è sul tema delle tasse, e sul loro rapporto con i cittadini, che da sempre gli stati si giocano la propria legittimità. 

Gli italiani versano nelle casse dello stato oltre la metà della ricchezza che producono, dunque non si può affermare che non pagano le tasse o che sono un popolo di evasori. 

Qui l'unico vizioso è lo stato, assetato di tasse e improduttivo.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:16