I brigatisti si

Ruggiero Capone «Chi ha sparato a Roberto Adinolfi non voleva ucciderlo ma ferirlo esattamente come è poi avvenuto», è la convinzione maturata degli investigatori. E Adinolfi avrebbe detto ai carabinieri di non essere in grado di fornire elementi utili per identificare il killer e il suo accompagnatore: oltre che coperti dai caschi integrali, i due non hanno pronunciato parole, neanche per richiamare l'attenzione del manager.

«Saranno gli inquirenti a fare luce sugli autori del grave attentato al dirigente dell'Ansaldo di Genova, ma non è difficile individuare, nelle modalità di esecuzione, la firma del terrorismo brigatista che, se ne porta la responsabilità, non tarderà a rivendicarne l'esecuzione», afferma il deputato Pdl Giuliano Cazzola. «Hanno voluto colpire - spiega Cazzola - una persona-simbolo. In qualche modo c'era da aspettarsi che, nel clima che è stato creato nel Paese, entrasse in scena un altro protagonista a cui, in conseguenza della caccia all'uomo che si è aperta, è stato offerto un lungo elenco di simboli da colpire».

La tecnica dell'agguato a Roberto Adinolfi è quella delle Brigate rosse, dicono fonti vicine alla Polizia. Quello di Genova è un gesto altamente simbolico, uno dei primi attentati delle Br fu proprio all'Ansaldo negli anni '70: oggi è come se avessero voluto dire "ricominciamo come 40 anni fa, dove avevamo interrotto il lavoro". Negli anni di piombo, l'Ansaldo di Genova fu uno degli obiettivi della colonna genovese delle Br. Tre dirigenti dell'azienda furono colpiti dai terroristi. Vincenzo Casabona: capo del personale Ansaldo Meccanica, il 23 ottobre 1975 rientrava a casa, un commando di quattro uomini lo portava via su un furgone, sotto gli occhi dei passanti. Intorno a mezzanotte veniva rilasciato, legato ad un albero presso l'immondezzaio di Recco: l'azione veniva rivendicata dalle Br. Quindi era il turno del direttore pianificazione dell'Ansaldo, Carlo Castellano: il 17 novembre 1977 rientrava a casa dal lavoro. Tre giovani lo affrontavano nei pressi della sua abitazione, sparandogli otto colpi in rapida successione: veniva colpito a gambe e addome. Pochi minuti dopo, la colonna genovese delle Br rivendicava l'attentato. Giuseppe Bonzani, direttore dello stabilimento G.T. Ansaldo, veniva ferito il 30 aprile 1979, nei pressi della sua abitazione, da colpi di pistola sparati da due giovani a bordo di uno scooter: azione poi rivendicata dalle Br.

L'ultimo della lista è Roberto Adinolfi, ingegnere nucleare che ha svolto tutta la sua carriera nelle aziende Ansaldo del gruppo Finmeccanica. Ha diretto il consorzio Ansaldo-Fiat, e da aprile 2007 è amministratore delegato della società: uomo che riassume il simbolo dei licenziamenti alla greca (Finmeccanica-Fincanitieri-Fiat) che dovrebbero toccare gli operai di Genova, Torino, Milano, Napoli. Poi la pistola con cui è stato gambizzato Adinolfi, la Tokarev, è arma di fabbricazione russa, prodotta a partire dal 1934 e utilizzata dall'Armata Rossa. Sorella minore della pistola 9mm Makarov con cui venne freddato Marco Biagi.

La Tokarev, arma rara, sembra venuta dal passato: pistola molto affidabile, difficilmente s'inceppa. Sarà arrivata in Italia dai paesi dell'Est prima della caduta del regime sovietico, avrà dormito per anni in qualche cassa. Anni fa la usava anche la criminalità di confine, in Puglia come in Friuli Venezia Giulia. Spulciando tra gli archivi, la Polizia trova la Tokarev in vecchie vicende di terrorismo. Nell'aprile del 1981, ad esempio, la Digos di Milano arrestò il latitante di Prima Linea Pedrazzini, conosciuto col nome di battaglia "Pedro": all'uomo era assegnato il compito di coordinare gli autofinanziamenti tramite rapine. Quando i poliziotti lo bloccarono in corso Buenos Aires, Pedrazzini aveva nei pantaloni una Tokarev calibro 7,62. Invece non era una pistola ma un mitra il Tokarev trovato il 10 ottobre del 1990 nell'ex covo Br di via Monte Nevoso, sempre a Milano, dove fu rinvenuto il memoriale di Aldo Moro. Dietro la ormai famosa finta parete, scoperta 12 anni dopo l'individuazione della base Br, oltre al carteggio di Moro, i Carabinieri trovarono una pistola Ppk 7.65, un mitra Pps 7.62 Tokarev, una canna di pistola Brigadier, una trentina di detonatori e una borsa nera con dentro circa 60 milioni di lire in banconote ormai fuori corso. Denaro proveniente in parte dal riscatto per il sequestro dell'imprenditore genovese Piero Costa.

Oggi gambizzano l'Ad di Ansaldo con una Tokarev, un po' come andare a lepri con un avancarica damascato o a cinghiali con l'arbalete.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:17