La Lega di Maroni? Come quella di Bossi

La Lega 2.0 di Roberto Maroni non è meglio di quella di Umberto Bossi. Sono passati pochi giorni da quello che molti hanno definito un parricidio di maniera e il risultato più palpabile, dai corridoi angusti e infidi di via Bellerio alla redazione adiacente de la Padania, sembra quello di avere sostituito un cerchio magico con un altro. Magari meno intrigante e folcloristico. Ma tant’è. Né hanno giovato le fughe in avanti maroniane, con le relative marce indietro meno pubblicizzate mediaticamente, su Pontida, miss Padania e in genere tutti questi giocattoli pensati da Bossi per irretire il leghista medio. 

Giancarlo Pagliarini, uno dei padri storici del movimento indipendentista dice a Radio radicale esplicitamente di non fidarsi. «Il giorno che pubblicheranno on line tutti i bilanci e come vengono spesi i soldi pubblici e quelli dei militanti fino all’ultimo euro, allora potrò dare credito a Maroni, fino a quel momento dopo avere visto cose che voi umani neanche vi potete immaginare (parla parafrasando volutamente il dialogo finale di “Blade runner”) non do credito a nessuno».

Un giudizio che fa il paio con quello di Franco Di Braccio, presidente dell’Associazione culturale federalista Gianfranco Miglio, che solo pochi giorni fa scriveva su L’indipendenza (il quotidiano on line diretto da Gianuca Marchi e ispirato da Leonardo Facco, un ex capo redattore del settore cultura de la Padania poi uscito dal partito e autore del libro Umberto Magno, in cui per primo denunciava le malefatte del cerchio magico bossiano) un articolo che già dal titolo dava il termometro del leghista medio consapevole su questa svolta maroniana: «Nessuna apertura alla Lega, pensano a Roma e alle clientele».

L’elettore medio consapevole del fronte indipendentista è infatti convinto che la Lega si sia ammalata irreversibilmente di  “poltronismo romano”. E che ci voglia “ben altro” che un cambio di guardia annunciato per guarirla.

Scriveva infatti in quell’articolo, vergato a caldo dopo la passerella mediatica delle scope verdi, il buon Di Braccio che «sembra azzardato fare una apertura di credito sulla parola, ad un “movimento” che non ha più questa caratteristica, essendosi trasformato, ed è ampiamente dimostrato, nel più romano dei partiti». 

Poi l’affondo: «Roma è una mentalità e, purtroppo, il comportamento e i piccoli segnali che giungono dal presunto avvenuto cambiamento confermano che nulla è cambiato. Non è ammissibile, né credibile appunto, che il signor Maroni urli “Via da Roma”, quando solo due settimane fa la sua Lega ha fatto il diavolo a quattro per piazzare Giovanna Bianchi Clerici nell’Autorità garante della privacy, ente romanocentrico e parassita che serve solo a riconoscere decine di migliaia di euro di stipendio al raccomandato di turno. Non è ammissibile che il signor Caparini venga a raccontare la barzelletta – perchè tale è – del “non pagare il Canone Rai”, quando la Rai per la Lega è uno dei poltronifici preferiti...».

Ma se gli “intellettuali” di area leghista rimangono scettici, a dir poco, l’elettorato è ancora più disincantato: i sondaggi parlano di un partito che oggi come oggi faticherebbe a superare il 4% e il recente annuncio del ritorno in campo di Berlusconi, dicono tutti, «non aiuta».

In primis perché Maroni aveva già puntato tutto sulla disgregazione del Pdl dopo l’appoggio al governo dei tecnici di Mario Monti e aveva ricominciato a tarare la Padania come ai bei tempi quando la Lega era definita da D’Alema una costola della sinistra. 

In secundis perché, in un partito che ha ormai perso l’identità e l’ideologia artificiale raffazzonata da Bossi in anni di comizi alla Fidel Castro in cui si passava di palo in frasca su tutto, dalla Chiesa, alla famiglia passando per l’Europa delle piccole patrie, senza mai, con un linguaggio tra il vandeano e il sindacalese, rivolgersi al popolo delle partite Iva (che invece Maroni tenta di riprendersi, anche lui con i trucchetti come la finta obiezione fiscale all’Imu, ndr), il ritorno di Berlusconi in campo può essere visto come il definitivo “rompete le righe” degli elettori verso il nuovo soggetto ex Pdl comunque verrà chiamato.

Scrive giustamente Di Braccio: «...se si è alternativi al “sistema”, dal sistema si deve “uscire totalmente”, non a chiacchiere ma nei fatti e, fino ad ora, si sono udite soltanto chiacchiere, trite e ritrite. E’ molto comodo e redditizio affermare che si inizia una “fase due”, continuando sulla stessa linea della “fase uno”, come dire che un gruppo di musicanti diverso da quello precedente legge e suona lo stesso spartito, uno spartito che in vent’anni di Lega ha solo fatto impoverire e immiserire le aree padano-alpine.

Sapete perché? Perché se cambia la musica non ci sono più i “soldini” facili, e non ci saranno più incarichi, per lo più fasulli, per le clientele, gli amici e gli amici degli amici incistati in ogni ente (questo è il loro federalismo municipale).

Se si cambia musica non ci sarà più nulla da “offrire” in cambio della cieca obbedienza di leninista memoria». Ecco questa è la vera sfida che Maroni deve ancora affrontare. Altro che Lega 2.0.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:43