I conti contraddicono Super Mario

«Lo scenario globale è ulteriormente peggiorato. E in Italia la diminuzione del Pil proseguirà» anche nella seconda metà del 2012, seppure con «qualche timido segnale di rallentamento della flessione a partire dall’estate inoltrata». Ma nessuna ripresa entro l’anno. Lapidarie le conclusioni dell’analisi mensile del Centro studi di Confindustria. Quello prospettato è uno scenario coerente con la previsione sul pil annuo che l’associazione degli industriali ha già diffuso e che tanto ha fatto discutere: quel -2,4% che ha contribuito all’irritazione di Palazzo Chigi per le uscite del numero uno di Viale dell’Astronomia, Giorgio Squinzi.

In netto contrasto, infatti, con le stime contenute nel Def di aprile. Il calo dell’1,2% e la ripresa nel 2013 (+0,5%) previsti dal governo sono ormai le stime di gran lunga più ottimistiche rimaste in circolazione. Sarebbe già incoraggiante se la riduzione del Pil quest’anno si fermasse alle stime indicate da Banca d’Italia e Fmi (-1,9%). Perché si realizzi questa ipotesi la riduzione del prodotto nel II e nel III trimestre dell’anno dovrebbe essere inferiore a quella del I, cioè non andare oltre lo 0,5 e lo 0,4%, e arrestarsi del tutto nel IV (0,0). Anche dall’andamento del Pil dipende il raggiungimento o meno degli obiettivi di bilancio. Con una perdita dell’1,9%, prevede l’Fmi, il deficit passerebbe dal 2,4% del 2012 all’1,5% nel 2013.

Niente pareggio di bilancio nel 2013, dunque, come invece prevede il governo. E il debito, anziché cominciare a calare, continuerebbe a salire: dal 123,4% di quest’anno al 123,8% del prossimo, riuscendo a scendere sotto quota 120 solo nel 2017. Sembra ormai non più a portata di mano l’ipotesi Monti. Perché si verifichi, infatti, già nel II trimestre il calo del Pil dovrebbe quasi arrestarsi, per poi diventare positivo già dal III (-0,2 +0,3 +0,3). Dati peggiori di -0,2% nel II trimestre sarebbero incompatibili con un -1,2% annuo.

L’ottimismo delle stime governative si deve a due fondamentali errori di valutazione: aver sottovalutato l’impatto recessivo di una politica di rigore concentrata su aumenti di tasse piuttosto che su tagli alla spesa; e l’aver sopravvalutato sia l’effetto delle misure per la crescita e delle riforme – scarse le prime e troppo timide le seconde – sia la benevolenza dei mercati. I tassi d’interesse, infatti, continuano ad essere troppo alti per poter favorire una ripresa. Il calo dello spread che mesi fa ha convinto il premier a sbilanciarsi in giudizi troppo ottimistici (crisi «quasi superata»), era dovuto alle operazioni di prestito della Bce.

In realtà, la sfiducia sul sistema Italia e sul sistema euro era pressoché immutata, come si è visto nelle ultime settimane, e d’altra parte era irragionevole ipotizzare che la fiducia potesse tornare in così breve tempo, a fronte di riforme strutturali insufficienti, quando non del tutto assenti. Del tutto fondato, quindi, il pessimismo di Confindustria, e di quanti, tra cui chi scrive, si spingono ad ipotizzare nel 2012 un calo del Pil più vicino al 3%. Perché si realizzi il -2,4% di Confindustria è sufficiente che in tutti e tre i rimanenti trimestri si registri un calo simile a quello del I (-0,8% -0,7% -0,7%). Il 7 agosto il giorno del giudizio, quando l’Istat renderà nota la stima preliminare sul II trimestre. Se inferiore al -0,8% del I trimestre, sarà compatibile con le stime Fmi/Banca d’Italia (-1,9%); se sarà uguale o superiore, vorrà dire che ci avviamo verso l’ipotesi di Confindustria o peggio (-2,4%/-3%).

Ipotesi verso cui sembrano per il momento convergere gli indicatori congiunturali, «tutti in ribasso» nel II trimestre, soprattutto i nuovi ordini. Calo della produzione industriale a giugno (-1,3% su maggio e -1,7% sull’anno); calo dei consumi (-0,9% l’indicatore ICC a maggio) e delle immatricolazioni auto (-3,1% a giugno); 2,6 milioni di disoccupati, il 10,1% della forza lavoro (8,2% nell’agosto 2011); fiducia dei consumatori ai minimi storici (indice a 86,5); non si svuota il bacino di persone in cassa integrazione (370mila unità di lavoro standard a giugno, +36,2% rispetto ad agosto 2011). Sfavorevoli anche le condizioni del credito. Anziché attenuarsi, «il credit crunch si accentua», a causa delle difficoltà dei sistemi bancari (carenza di liquidità, raccolta onerosa, perdite sui titoli, sofferenze sui crediti, interbancario frammentato, deleveraging per rispettare i più alti ratio di capitale). A maggio i prestiti alle imprese sono scesi dello 0,7% e sono dell’1,8% sotto il livello di settembre 2011.

Nel II trimestre il 32,9% delle imprese ha riscontrato condizioni di credito peggiori e i tassi alti impongono costi «proibitivi per molte aziende». Troppo «limitata», secondo Confindustria, «per vincoli politico-culturali più che istituzionali», l’azione della Bce, sia sui tassi che sugli acquisti di bond. Ha portato il tasso ufficiale allo 0,75% (dall’1%), ma c’è spazio per ridurlo ancora, «almeno fino allo 0,25%», come l’americana FED da quattro anni. Punta l’indice su «Eurolandia», da cui «quasi tutto» ora dipende, l’analisi di Confindustria, secondo cui la «spirale depressiva» in cui siamo «intrappolati» non è dovuta ad «aggiustamenti ineluttabili», quanto ai danni e all’incertezza provocati dalla gestione europea della crisi e da politiche di risanamento «troppo restrittive».

Troppo rigore non coniugato alla crescita. «Partita dalla periferia, la contrazione dell’attività economica ha ormai coinvolto le economie “core”» dell’Eurozona, coompresa la stessa Germania (indice manifatturiero da 45 a 43,3, minimo dal giugno 2009, e indice di fiducia IFO in caduta da tre mesi). Né c’è da attendersi un qualche stimolo dalle prospettive globali: in giugno gli ordini esteri hanno fatto registrare la contrazione più marcata dal maggio 2009, da 49,7 a 47, laddove 50 è il valore di nessuna variazione. L’export italiano a maggio è aumentato solo dello 0,2% su aprile. La ripresa negli Usa resta fragile, a causa della «scarsa creazione di posti di lavoro» (75mila al mese nel II trimestre, da quasi 200mila nei due precedenti), che tiene la disoccupazione ferma all’8,2%.

L’indice manifatturiero ha registrato una contrazione dell’attività in giugno (49,7) per la prima volta dal luglio 2009. Deludono i consumi (-0,5% le vendite al dettaglio) e la fiducia dei consumatori è in calo (da 64,4 a 62). Anche i paesi emergenti, soprattutto il Brasile, non avanzano ai ritmi spediti di qualche trimestre fa. Nel II trimestre la Cina è cresciuta al ritmo più lento da inizio 2009 (+7,6% annuo), facendo registrare bruche frenate della produzione industriale, delle vendite al dettaglio e dell’import. I prezzi delle materie prime (petrolio, rame, mais) restano elevati, sostenuti dalla domanda dei paesi emergenti, e comprimendo i margini delle imprese non aiutano la ripresa.

«In Italia i prezzi al consumo degli alimentari hanno accelerato a +2,8% annuo a giugno e quelli degli energetici hanno segnato un +14,5%». Unica nota positiva, anche se segno di debolezza, la svalutazione dell’euro rispetto alle altre principali valute (-5,3% rispetto a marzo), in particolare sul dollaro (-8,4%), «aiuta la competitività» dell’Eurozona rispetto ai concorrenti che hanno monete agganciate al dollaro, e sosterrà le esportazioni dei paesi dell’area. Un cambio dollaro/euro a 1,21, rispetto all’1,32 di un mese fa, può determinare in Italia un maggior Pil pari a 0,7 punti percentuali nel 2013.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:43