Monti e Hollande trattano sullo scudo

Di settimane decisive negli ultimi 24 mesi ce ne sono state fin troppe, quindi il termine è leggermente inflazionato. Ma senza dubbio questa è tra le più importanti per il futuro dell’Eurozona. Quel «credetemi, sarà abbastanza» con il quale Mario Draghi nel luglio scorso ha inteso manifestare la determinazione della Bce nel difendere l’euro è ora alla ricerca di conferme e la sensazione è che i nodi verranno presto al pettine. Centrale è ancora il tema dell’uso dell’Esm, il nuovo meccanismo di stabilità, e dell’azione della Bce in chiave anti-spread.

L’intervento congiunto Esm-Bce dev’essere sollecitato dagli stati in difficoltà e subordinato all’accettazione di severe condizioni, come delineato nelle scorse settimane da Mario Draghi e come si aspetta la cancelliera Merkel, o deve scattare con un certo automatismo sulla base delle autonome valutazioni dell’istituzione di Francoforte? E le eventuali condizioni verrebbero poste dall’Eurogruppo o dalla Bce? Nella conferenza stampa di ieri al termine del loro incontro a Villa Madama il presidente francese Hollande e il premier Mario Monti sono stati piuttosto vaghi su questo punto, lasciando intendere di voler restare fedeli a quanto deciso al Consiglio europeo del 28-29 giugno, nelle cui conclusioni si parlava di memorandum d’intesa ma non di condizioni aggiuntive rispetto agli impegni di bilancio già assunti dai singoli paesi in sede Ue e rispetto alle riforme/manovre in via di attuazione.

Riguardo il ruolo della Bce e gli acquisti di bond, «il miglior commento è non farne – ha risposto Hollande – la mia posizione resta quella del Consiglio Ue, ovvero che ci sia la possibilità, attraverso il meccanismo di stabilità, di intervenire insieme e rapidamente, subito dopo la decisione della Corte di Karlsruhe». «Ho ascoltato il presidente Hollande con particolare attenzione – ha chiosato Monti – per vedere se ci fosse una sola parola su cui non fossi d’accordo e non l’ho trovata». 

Un tasto, quello delle decisioni assunte al Consiglio di giugno, su cui sia Hollande sia Monti hanno battuto molto: le decisioni sulla crescita e sulla stabilità finanziaria devono essere «pienamente attuate». La loro «puntuale e concreta» attuazione viene posta come «prima tappa» delle tre identificate per risolvere la crisi: la seconda è trovare soluzioni ai problemi della Grecia e della Spagna e la terza è procedere, entro la fine dell’anno, con l’unione bancaria e il rafforzamento dell’unione monetaria ed economica. Dossier su cui si sta lavorando a Bruxelles e che dovrebbero essere pronti per metà ottobre.

L’impressione è che le modalità di attivazione e le condizioni del meccanismo anti-spread siano ancora il tema più dibattuto tra le cancellerie e all’interno del board della Bce. «Fare i compiti a casa è necessario, ma non sufficiente», ha avvertito Monti: «Occorre che via via che una paese realizza progressi nella propria politica economica ci sia un riconoscimento dell’Unione europea affinché non persistano spread privi di riferimento con l’andamento economico e finanziario sottostante». Una frase da cui sembra di capire che il premier italiano auspichi un certo automatismo nelle azioni calmieranti sui rendimenti dei titoli sovrani. La Bce «ha già dato linee guida» sui suoi eventuali interventi e deciderà in «piena autonomia», ha osservato Hollande. Ma nella sua autonomia Draghi sembra aver già deciso che le condizioni ci saranno e saranno severe.

In parte le ragioni italiane sembrano trovare ascolto nel comitato della Bce. Uno dei membri, il tedesco Joerg Asmussen, ha ammesso che «i premi di rischio dei titoli sovrani rispecchiano non solo il rischio di insolvenza di alcuni stati, ma anche il rischio di cambio, il quale teoricamente non dovrebbe esistere in un’unione monetaria». Ma è quel rischio aggiuntivo a portare, rileva uno studio della Banca d’Italia, lo spread Btp-Bund oltre i 400 punti, mentre sulla base dei fondamentali economici di Italia e Germania il differenziale dovrebbe attestarsi a quota 200. Ogni quantificazione rischia di apparire arbitraria, ma un rischio “contagio”, o sistemico, legato alla tenuta dell’euro, lo scontiamo.

«Un segnale di politica monetaria, come quello che ha dato a luglio la Bce tagliando il tasso di riferimento – ha spiegato Asmussen – arriva all’economia in modo non unitario o talvolta per nulla», proprio a causa degli spread elevati. Così elevati che le nostre imprese e quelle spagnole pagano interessi del 60% superiori alle concorrenti tedesche, come attestano i dati della Bce. «Non riusciamo a perseguire la stabilità dei prezzi con l’attuale frammentazione dell’area euro, perché i cambiamenti dei tassi d’interesse si riflettono solo ad uno, o due paesi al massimo», ha spiegato lo stesso Draghi in un’audizione a porte chiuse al Parlamento europeo, secondo le trascrizioni citate da Bloomberg. Nel momento in cui i differenziali, i cui livelli sono in parte ingiustificati, compromettono, se non addirittura annullano, l’efficacia della politica monetaria della Bce, ecco che gli acquisti di bond si rendono necessari, ha avvertito Draghi, hanno a che fare «con il proseguimento dell’esistenza dell’euro». Ma gli eventuali acquisti sul mercato secondario di titoli sovrani con scadenza non superiore ai tre anni da parte della Bce non costituirebbero un finanziamento monetario agli stati in difficoltà, né dunque una violazione dei trattati comunitari. 

La Bce è invece «contraria alla concessione di una licenza bancaria al fondo Esm», proprio perché quella sì «avrebbe lo stesso effetto del finanziamento diretto agli stati».

Persino i membri più rigidi del board Bce non si oppongono più alla ripresa degli acquisti, essendo ormai ritenuti essenziali per non vanificare la politica monetaria, ma quasi certamente non saranno incondizionati. Le aspettative (sui mercati e in Italia) per la riunione di giovedì del board Bce sono probabilmente eccessive. Anche se fossero messe a punto nel dettaglio le linee guida dei piani di intervento anti-spread, la quantità di titoli da acquistare e i rendimenti ritenuti “equi” per i bond italiani e spagnoli non saranno resi noti. 

Difficilmente Draghi dirà quando e a quali condizioni la Bce procederà agli acquisti. Perché vorrà valutare caso per caso, a seconda delle situazioni, e perché l’efficacia degli interventi richiede che siano di difficile previsione per i mercati, in modo da non dare vantaggi agli speculatori.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:17