Dov'è la credibilità della giustizia?

Il processo d’appello si è concluso in modo fallimentare per la pubblica accusa – l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito «per non aver commesso il fatto» – e sull’intera vicenda, com’era giusto che fosse, si sono spenti i riflettori. Nonostante la fragilità estrema dell’impianto accusatorio, fondato su una character assassination d’altri tempi, e i sospetti di metodi non proprio ortodossi da parte della procura abbiano fatto il giro del mondo, gettando discredito sulla giustizia italiana, andrà in scena un terzo atto in Cassazione.

Nell’attesa, una ulteriore, inquietante ombra cala sull’operato della procura. Nel libro in cui ripercorre la vicenda (Honor Bound, in uscita negli Stati Uniti) e di cui il settimanale Oggi offre alcune anticipazioni, Raffaele Sollecito lancia pesanti accuse: il pm a capo dell’inchiesta, Giuliano Mignini, avrebbe offerto a Raffaele una pena inferiore se si fosse reso disponibile ad incastrare Amanda: «A processo in corso mise a punto un piano per incastrare Amanda costringendomi a confessare di aver avuto un ruolo minore, in cambio di una pena più mite». Dopo la conclusione del processo di primo grado il pm avrebbe tentato di sfruttare la debolezza del ragazzo, appena condannato a 25 anni, e della sua famiglia: «Venne detto alla mia famiglia – si legge nel libro – che  Mignini sarebbe stato disposto a riconoscere che ero innocente se gli avessi dato qualcosa in cambio, incriminando direttamente Amanda o semplicemente non sostenendola più». Intermediari per conto di Mignini sarebbero stati due avvocati, lo zio Giuseppe per la famiglia Sollecito. «Avrei dovuto accettare un accordo, confessando di aver avuto un ruolo minore, come ad esempio aver aiutato a ripulire la scena del delitto pur non avendovi avuto alcun ruolo». Sollecito cita anche particolari facilmente verificabili: uno degli intermediari sarebbe stato un avvocato «che aveva rapporti stretti con Mignini, tanto che lo aveva perfino invitato al battesimo del figlio più piccolo in estate».

Nell’estate del 2010 si prospettava addirittura un incontro diretto con Mignini, ma sarebbe stato l’avvocato di Raffaele, Giulia Bongiorno, a bloccare la trattativa segreta: «Fu inorridita e minacciò di lasciare l’incarico». Il padre di Raffaele a quel punto si convinse a lasciar perdere. Anche perché nel frattempo il ragazzo, ignaro di tutto fino alla conclusione del processo, come racconta lui stesso respingeva categoricamente il pressing della famiglia, definito «martellamento sulle palle», perché abbandonasse Amanda al suo destino: «Non ho più la forza di sopportare il vostro desiderio di incolpare Amanda di cose di cui non è responsabile e che non merita». Accuse anche ai metodi della polizia durante gli interrogatori. Sollecito ricorda di aver subito minacce di morte, pressioni psicologiche e fisiche, ricorda di aver udito dall’altra stanza le urla dei poliziotti contro Amanda e le urla e le richieste d’aiuto della ragazza americana.

Se le parole di Sollecito oggi possono apparire verosimili e non farneticazioni, è perché il teorema accusatorio, la natura puramente indiziaria del processo e le modalità della raccolta delle prove, giudicate dai periti super partes «approssimative», non conformi agli standard, hanno destato pesanti perplessità. Considerando i sospetti che fin dall’inizio gravano sulla correttezza dell’operato della pubblica accusa, e la vasta eco internazionale della vicenda, le nostre istituzioni non possono permettersi il lusso di rispondere con il silenzio alle gravi accuse esplicitate nel libro di Sollecito e, c’è da scommettere, anche in quello di Amanda. Per tutelare la credibilità e l’onorabilità della giustizia italiana dovrebbe essere fatta piena luce sulla condotta della procura durante le indagini e durante il processo. Sia il ministero della Giustizia che il Csm dovrebbero aprire un’inchiesta formale per stabilire non solo se vi siano state violazioni di legge, ma anche incompetenze e negligenze, per capire come sia stato possibile che, delle due l’una, o due innocenti sono rimasti in carcere per quattro anni, o due ragazzini hanno messo in scacco una procura.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:06