Il Cav e la provocazione di Feltri

La provocazione di Vittorio Feltri - «Silvio, diventa compagno se vuoi salvarti!» - è certamente fondata, ma Berlusconi, prima deve recitare il “mea culpa” per non essere riuscito a riformare l’ordinamento giudiziario, che è la causa principale non solo dei suoi guai ma dei guai di tutti i cittadini. La giustificazione, “non ci sono riuscito per colpa di Fini e di Casini”, lascia il tempo che trova, posto che quando si da luogo ad un partito che coinvolge altri due partiti che in proposito hanno idee diverse e due leader ambiziosi quali erano Fini e Casini, si deve andare avanti con i piedi di piombo. Invero i risultati sono stati quelli che sono evidenti a tutti. Il partito dei giudici, che si chiama Anm, sotto la guida di magistrati appartenenti a varie correnti, ma con egemonia di quella di estrema sinistra, determina e condiziona la carriera dei magistrati, a seconda non del valore dimostrato degli stessi, ma dell’appartenenza ad una corrente anziché ad un'altra.

Tutto ciò, lo ripeto per l’ennesima volta, a causa della sciagurata riforma dell’ordinamento giudiziario approvata dalle Camere a maggioranza catto-comunista nel 1973, e che porta il nome di un deputato democristiano, il cui nome, Breganze è ignoto a tutti anche agli attuali politici, a qualsivoglia schieramento appartengano. I magistrati, prima del 1973, per fare carriera dovevano affrontare prove durissime contraddistinte dalla eccelsa preparazione giuridica e non solo, anche dalla solerzia nel lavoro che dava luogo a pronunciamenti rapidi e giusti. Di quei magistrati ormai si è conservato solo il ricordo, ragione per cui per avere una sentenza in primo grado non sono sufficienti cinque anni, per un giudizio di appello non ne bastano nove e per una pronuncia di legittimità ne passano quattro se non cinque. In questo contesto il Csm, composto come noi addetti ai lavori sappiamo, sotto la Presidenza di fatto del vice Presidente Vietti, lo ricordo per l’ennesima volta voluto dal Cavaliere, per far piacere a Casini, difende le toghe, ed avalla una dichiarazione che definire sconcertante è poco, per una carica istituzionale:«Scellerato attaccare le toghe».

Ma non è più che scellerato che alcuni magistrati, sull’esempio nefasto dell’inimitabile Di Pietro, si giovino dell’arma letale delle indagini, condotte per lo più con le intercettazioni telefoniche, per intervenire nell’agone politico condizionando in modo pestante l’esercizio del potere legislativo e del potere esecutivo. Cosa ha fatto il Csm, quando il Dott. Ingroia, indossando ancora la toga, partecipava a congressi e convegni di partito, violando chiaramente i principi cardine della funzione del magistrato, sia inquirente che giudicante, l’autonomia e l’indipendenza. Nulla se non un timido richiamo. Vigente il vecchio ma incisivo ordinamento giudiziario, Ingroia sarebbe stato allontanato dalla magistratura. Caro Feltri, il Cavaliere non deve diventare compagno per salvarsi, così come non sono compagni la stragrande maggioranza dei magistrati. Deve mantenere la promesse fatte e nell’ottica deve attuare le riforme indispensabili per che non si verifichi più la situazione attuale, che definire confusa è poco. Al contempo deve convincersi, ma forse nessuno vi riuscirà mai che Napolitano non è un suo amico e che Gianni Letta, il cerimoniere è sempre lo zio di Enrico Letta, stretto collaboratore di Bersani, che con spregio rifiuta ogni contatto con il Pdl.

A proposito, che senso ha più chiamare così il suo partito? Nessuno, posto che, in ogni caso, per sua fortuna i suoi ex alleati sono stato eliminati dagli elettori. E che senso ha lamentarsi perché il suo partito non la sostiene? Gli eletti sono stati per suo esclusivo merito o meglio, demerito da lei designati; una volta conquistato lo scanno questi soggetti non pensano ad altro che giovarsi dei vantaggi che la carica comporta. Volti pagina per favore scelga i suoi collaboratori tra le tante persone degne e per bene che popolano ancora l’Italia; si liberi prima possibile dei mestieranti della politica, l’elenco è davvero numeroso, consapevole com’è che l’insperato e miracoloso recupero è solo merito suo. Perché gli Italiani per bene, se lo ricordi sempre, non abitano tutti a Livorno!

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:22