Lo spericolato “all-in” (o bluff) del Pd

Se siamo di fronte ad uno spericolato azzardo sulla pelle del paese, o ad un patetico bluff, lo scopriremo solo tra qualche settimana. Sta di fatto che al momento il Pd sembra marciare senza esitazioni, temerario, sul sentiero indicato dal suo segretario e dal gruppo dirigente, almeno per ora compatto dietro di lui. Dalle urne non è uscita una mano vincente, le sue carte non sono buone, ma il Pd sembra deciso a rilanciare, ad andare in “all-in”, ad ottenere l'intera posta in gioco nonostante una posizione precaria, se non di debolezza: Quirinale prima e Palazzo Chigi poi, passando per nuove elezioni, anche a giugno. Confidando che nel frattempo Berlusconi sia stato fatto fuori per via giudiziaria e che gli elettori di sinistra capiranno, e sanzioneranno l'ostinazione di Grillo. Eccoli i passaggi della spericolata manovra di Bersani: ottenere da Napolitano l'incarico esplorativo per portare a termine il tentativo con il M5S. Se andrà a buon fine (il che ad oggi appare quasi fantapolitica), tanto meglio.

Altrimenti, avrà comunque guadagnato tempo: più giorni passano, infatti, più ci si avvicina alla prima seduta del Parlamento per l'elezione del prossimo presidente della Repubblica (15 aprile). Napolitano quindi avrebbe tempi al quanto ristretti per imbastire un percorso alternativo per la formazione di un governo, che verrebbe ulteriormente ostacolato dalla vera e propria tempesta giudiziaria che si sta abbattendo su Silvio Berlusconi. Fallito il tentativo con Grillo, infatti, proprio il Cav dovrebbe tornare ad essere un interlocutore del Pd, a partire dalla scelta del nuovo inquilino del Colle. Il calcolo di Bersani è che ormai vicino alla scadenza del suo mandato, e con il leader del centrodestra sempre più fuori gioco, Napolitano non possa far altro che gettare la spugna, rinunciare a far dialogare Pd e Pdl – anche se per interposta figura tecnica e super partes – e passare la pratica al suo successore, che concederebbe facilmente, e rapidamente, il ritorno alle urne. Ma nuove elezioni a giugno sarebbero un azzardo totale. E' possibile, infatti, e in ciò confidano Bersani e i suoi, che molti elettori abbiano votato Grillo solo per protesta, e quindi di fronte alla possibilità concreta che abbia i numeri per andare al governo, non riconfermino il loro voto.

Ma è anche possibile che invece lo “tsunami” grillino non sia destinato a ritirarsi così presto e che, anzi, il successo di febbraio e l'arroganza del Pd convincano un numero ancora maggiore di elettori a voler dare la spallata finale al vecchio sistema dei partiti. Certo, molto dipenderebbe anche dal nome del candidato premier del centrosinistra, ma la partita non sarebbe priva di insidie nemmeno per Renzi. Se si vota a giugno, infatti, non è scontato che si facciano le primarie e, se si fanno, che siano una passeggiata per il giovane sindaco, che continua ad essere considerato poco meno di un cripto-berlusconiano da gran parte della base del suo partito. Non è da escludere, tuttavia, l'ipotesi che quello di Bersani sia solo un patetico bluff, nel quale il segretario è l'unico o quasi del suo partito a credere. E che una volta andato a sbattere contro il muro di Grillo, possa iniziare una fase politica del tutto nuova. O che sia ancora una volta una fiammata dello spread a far naufragare tutti i sogni di autosufficienza del Pd.

Desta più di qualche perplessità che Bersani, che in campagna elettorale aveva assicurato di voler governare come se avesse il 49%, oggi si ostini a portare avanti un'operazione spregiudicata per prendersi tutto (Quirinale e Palazzo Chigi) con il 25% dei consensi sul 72% dei voti espressi, ossia poco più del 18% dell'elettorato. Ma nessuno sembra più fare caso all'effetto perverso di un premio di maggioranza che aveva senso, e non era affatto scandaloso, in un contesto fortemente bipolare (nel 2008 il centrodestra vinse con quasi il 47% e nel 2006 entrambe le coalizioni superarono il 49%), ma che oggi – nel silenzio generale – attribuisce il 55% dei seggi della Camera ad una coalizione che non ha raggiunto il 30% dei voti, producendo un esito pericolosamente vicino a quello della Legge Acerbo. Se Berlusconi avesse prevalso di uno 0,34% e avesse solo considerato l'operazione che sta tentando oggi Bersani (prendersi il Quirinale, sciogliere le Camere e tornare al voto), avremmo stampa, tv e piazze democratiche mobilitate in difesa della democrazia minacciata dal Caimano.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:18