Brutti tempi per i giornalisti

Mala tempora currunt. Per tutti. Per i cittadini, i contribuenti, per le famiglie, per i pensionati, per i giovani. Per i giornalisti, aggiungiamo questa volta. In Italia la crisi dell’editoria sta falcidiando le redazioni, affossando nei debiti l’istituto di previdenza con il ricorso alla cassa integrazione e alle ristrutturazioni: da Rcs, al Sole 24, da Repubblica alla Stampa. Stretta nel giornalismo anglosassone, una volta patria della libertà di stampa. In Inghilterra la Regina Elisabetta sta varando una “Royal Charter” che in pratica sancisce un giro di vite nei confronti dei giornali scandalistici che finora l’avevano fatta franca a causa dell’inefficace “Press Complaints Commission”. Per le porcherie di qualche gruppo, a partire da quelli del magnate australiano Rupert Murdock (tipo intercettazioni illegali che portarono alla chiusura del News of the World, bustarelle, copertura di un funzionario pedofilo alla Bbc), pagheranno tutti.

La nuova autorità indipendente di autoregolamentazione avrà enormi poteri: anche quello di ordinare di mettere in prima pagina e in risalto le scuse e di imporre multe fino ad un milione di sterline. In America si allarga la piattaforma di quotidiani che introducono un accesso a pagamento ("paywall") per tutti i lettori che consultano i siti. La buona informazione, dicono, costa, riecheggiando l’espressione dell’economista Milton Friedman «nessun pasto è gratis». Colpisce in Italia l’irrigidimento della vertenza al gruppo Rcs: tagli, vendite di settimanali, piani di ristrutturazione capestro. Per due giorni (ieri e oggi) i lettori non hanno trovato il Corriere della sera in edicola. Per uno sciopero deciso dal Comitato di redazione che aveva avuto il mandato di dieci giornate di protesta da una serie di assemblee durante le quali erano state vagliate le ipotesi che i vertici aziendali stavano maturando. Sono seguiti mesi di tensione con voci che si accavallano senza che le rigide posizioni del nuovo amministratore delegato, annunciate fin dal suo insediamento, abbiano avuto una revisione a seguito delle argomentazioni portate dai giornalisti e dai poligrafici. La proposta definitiva della direzione aziendale prima del Consiglio di amministrazione non sembra avere senso logico, economico e giornalistico.

È difficile comprendere le finalità di ridurre di 110 giornalisti l’organico di 355, di tagliare parti rilevanti delle retribuzioni effettive, ridurre le pagine, vendere alcune sedi ( non è ancora scongiurata l’ipotesi di vendere la sede di via Solferino dove hanno lavorato alcuni dei più grandi direttori come Albertini e Montanelli o inviati di fama internazionale da Luigi Barzini a Paolo Monelli, da Egisto Corradi a Mario Cervi, da Orio Vergani a Dino Buzzati, da Roberto Gervaso a Gianfranco Piazzesi, da Gaspare Barbiellini Amidi ad Alberto Cavallari, da Walter Tobagi a Giuliano Zincone). Scrive il cdr: «Meno giornalisti, meno risorse significano semplicemente un Corriere meno autorevole e meno autonomo. Il piano dell’azienda sfigura il primo quotidiano italiano e appare suicida visto che il Corriere presenta tuttora i conti in attivo. Il cdr ha sempre accettato di discutere con l’azienda come razionalizzare i costi e aumentare i ricavi». Altri sono gli errori commessi come l’acquisto del gruppo spagnolo Recoletos che ha causato centinaia di milioni di debiti. Brutti tempi per i giornalisti ma brutto giornalismo militante quello praticato da Lucia Annunziata sulla Terza Rete che pur scusandosi ha ribadito il suo giudizio negativo sugli esponenti del secondo partito più votato nelle ultime elezioni, senza essere sanzionata dal vertice di viale Mazzini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:46