«Sulla giustizia non so se il Pdl combatterà»

Giorgio Stracquadanio, giornalista, pubblicista e politico. Due anni al Senato, cinque anni alla Camera, a lungo ghost writer di Silvio Berlusconi, è stato prima il più berlusconiano dei berlusconiani, per poi lasciare il partito del Cavaliere nel luglio 2012 e il Parlamento nel 2013. Con lui parliamo della necessità di una riforma della giustizia e dell’amnistia e del percorso teorico che a partire proprio dalla giustizia potrebbe far evolvere il dibattito politico verso ipotesi interessanti, anche di matrice abolizionista.

Onorevole, oramai grazie soprattutto all’azione di Marco Pannella e dei Radicali il problema giustizia è considerato una “prepotente urgenza” in costatazione anche dal fatto che i mezzi d’informazione iniziano a dedicare più informazione alla tematica di quanto avveniva in passato. Dal suo punto di vista può riassumerci quali sono stati i fattori di tale cambiamento in questi anni?

Ho militato nel Partito Radicale dal 1979 al 1993. E ho combattuto le battaglie per una “Giustizia Giusta”. Dal 1995 al 1996 ho guidato il comitato “Italia Giusta”, un comitato aperto a personalità di ogni orientamento, che si definiva “Comitato per l’affermazione dello Stato di diritto”. Da decenni considero la giustizia un problema apparentemente privo di soluzioni. Ogni anno che passa l’Italia si allontana dal modello di Stato di diritto che conosciamo in Occidente.

Nell’attuale schieramento politico tutti parlano del problema della riforma della giustizia ma pochi sembrano partorire qualche proposta davvero risolutrice. Escludendo le proposte populiste dei leghisti e simili che vorrebbero la creazione di più carceri e pene detentive ancora maggiori, lei come ritiene che vada affrontato il problema della giustizia anche in luce dei referendum radicali sulla giustizia giusta?

Cominciamo a smontare il problema nei suoi diversi aspetti. Abbiamo un problema di ordinamento costituzionale: la magistratura è diventato un potere fuori controllo che pretende di sottomettere ogni altro potere legittimo; l’obbligatorietà dell’azione penale è l’alibi dietro il quale ogni pubblico ministero sceglie chi mettere nel proprio mirino e pretende di risolvere - con lo strumento penale - problemi civili, sociali ed economici. Abbiamo un problema di produzione legislativa: in Italia ha preso piede da anni un orientamento ideologico panpenalistico, secondo il quale qualunque problema civile o sociale si risolve con una legge penale, il che porta ad “inventare” nuovi reati, come il femminicidio, l’omofobia o l’omicidio stradale. Abbiamo un problema di amministrazione della giustizia penale: si va in galera da presunti innocenti e poi si sta fuori da acclarati colpevoli. Abbiamo anche un problema carcerario. Ci sono istituti in cui la detenzione è subumana. E parliamo solo di giustizia penale, perché su quella civile e amministrativa stiamo forse peggio.

Qual è la sua opinione riguardo il procedimento di Amnistia?

Che dovrebbe essere la ragionevole conclusione di un profondo processo riformatore che porti l’Italia a diventare uno Stato di diritto.

In passato molti radicali si dedicarono al mondo della giustizia e delle “patrie galere” in ottica profumatamente libertaria e abolizionista, tale ragionamento sembra ritornare, almeno tra le discussioni, proprio a partire dal dibattito intorno ai referendum e all’Amnistia. C’è chi ha ipotizzato, come Fabio Massimo Nicosia su “A” Rivista Anarchica, un dibattito tra anarchici, libertari e radicali sul percorso comune da poter intraprendere per un cambiamento della giustizia che rimetta al centro l’individuo e la propria sovranità individuale. Tale “humus” potrebbe spingere il movimento radicale e liberale verso posizioni ancora più libertarie del passato facendo avvicinare il movimento alla cultura “anarchica” e libertaria?

Non conosco contesti storici e politici nei quali non esista un apparato giudiziario penale. Prima di pensare all’abolizione, mi accontenterei di un ordinamento giudiziario e costituzionale di impronta liberale.

Il Popolo della Libertà sembra schierarsi, soprattutto dopo le vicende su Berlusconi, per un concreto sostegno alla battaglia referendaria e ad un pragmatico cambiamento della giustizia. Secondo lei quale “battaglia politica” sta sviluppando Berlusconi? Come affronterà il centro destra la questione dell’amnistia nei prossimi mesi?

Il centrodestra berlusconiano, di cui ho fatto parte con convinzione, ha avuto almeno tre storiche occasioni per rivoluzionare il sistema giudiziario e non l’ha fatto. Non credo che saprà combattere ora la battaglia. E non credo che si batterà per l’amnistia.

 A partire da tali tematiche e rimettendo al centro della discussione politica le libertà civili, una parte della sinistra laica italiana potrebbe riprendere coscienza non dogmatica divenendo in alcuni suoi settori libertaria, laica e liberale? Insomma, c’è speranza per la sinistra?

La sinistra italiana ha alimentato da almeno trent’anni una cultura giustizialista diffusa e profonda. Il Giudice è per gli uomini di sinistra divenuto l’oracolo di un potere sovrannaturale. La Legge un dogma religioso, la libertà una concessione limitata e temporanea del Leviatano. Non mi illudo sulla sinistra italiana: tra loro non solo mancano i cultori di Locke e Hobbes, ma anche i seguaci di Marx, secondo il quale la giustizia è il frutto dei rapporti di forza economico politici. La sinistra italiana. orfana del comunismo, ha sposato l’ideologia giustizialista, l’unica che poteva riempire il vuoto lasciato dal pensiero politico autoritario.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:06