Europa, giustizia e diritto umanitario

Niccolò Rinaldi, europarlamentare dal 2009, fa parte del gruppo dell’Alde di cui fin dal 2000 è stato segretario generale aggiunto e del quale è vicepresidente. Membro della Commissione europarlamentare per il commercio internazionale, è da sempre molto attento alle problematiche delle persone meno tutelate, come i diversamente abili, gli immigrati ed i Rom.

Alle prossime elezioni europee, analizzando il pensiero generale dell’opinione pubblica, sembrerebbe prevalere un forte consenso verso gli euroscettici di vario colore. Come affrontare tale situazione? Come riproporre nuovamente la questione europeista all’elettorato italiano?

È un sogno ormai pensare che l’Europa possa continuare a restare divisa in ventotto e più Stati-nazione, ciascuno con le sue piccole prerogative politiche, diplomatiche, militari, legislative, in un mondo dove i 500 milioni di abitanti dell’Ue sono poca cosa al cospetto di ben altri giganti, e hanno invece bisogno di una ben maggiore coesione interna. La soluzione europeista non solo è fattibile ma è anche conveniente, dato che il Parlamento Europeo ha una composizione proporzionale, e già una notevole esperienza nel mettere al lavoro rappresentanti dei cittadini che provengono da tradizioni così diverse. Ci si dovrebbe accostare all’idea di un’Europa federale dalle competenze chiare – con maggiori risorse proprie e dove valgano per tutti regole comuni con decisioni democratiche e trasparenti, anziché gli attuali rapporti di forza tra singoli governi in incontri a porte chiuse – nemica della burocrazia e vicina alle imprese, ai lavoratori, alla libertà di ricerca, all’innovazione, all’autonomia dei territori.

Dopo gli storici avvenimenti degli ultimi giorni, quali sono le forze politiche e associative ucraine che vogliono davvero rilanciare la politica ucraina verso una direzione liberaldemocratica ed europeista?

Bisogna prendere atto del fatto che si è combattuto anche perdendo la vita alle frontiere dell’Ue per difendere i valori democratici di cui noi stessi ci facciamo promotori. Milioni di persone dall’Ucraina guardano all’Europa e questa crisi alle nostre porte sta dando all’Ue la possibilità di offrire un sogno a un popolo che ha dimostrato che i dittatori non vincono contro le persone. Purtroppo però l’invasione da parte della Russia della Crimea e il referendum, di orwelliana unanimità, delinea una spaccatura che di certo non facilita le forze democratiche nell’apertura di una nuova via. Con la riduzione temporanea e unilaterale delle barriere commerciali sulle importazioni di merci ucraine verso l’Ue si aiuteranno le aziende ucraine ad aumentare le loro esportazioni. In questo modo speriamo di alimentare le voci di quella parte del popolo ucraino che come noi confida nell’apertura economica e democratica, favorendo la creazione di una prospettiva di adesione per evitare il limbo nel quale ora si posiziona l’Ucraina, e supportare gli amici democratici.

C’è chi lavora incessantemente per la creazione degli “Stati Uniti d’Europa”: come proseguire al meglio lungo questo percorso?

Senza un vero moto dalla cittadinanza, nessun federalismo arriva a maturità. Ma in Europa abbiamo bisogno anche di un impulso centralizzato, figlio diretto della consapevolezza che dopo i traumi del Novecento e alle prese con le sfide della globalizzazione, nessun governo nazionale può essere da solo all’altezza della situazione. Sicurezza internazionale, climate change e tutela dell’ambiente, immigrazione, regolamentazione del mercato e controllo della finanza, lotta alla burocrazia possono essere affrontati in modo credibile solo dall’Europa e non dai suoi singoli 28 Stati. Oggi l’Europa è per certi aspetti patetica con tutti questi tentativi di far restare a galla le proprie sovranità, mentre l’interdipendenza - tanto dei mercati quanto della nostra stessa vita quotidiana di cittadini - è tale che solo una federazione può cominciare a mettere ordine in discrepanze interne che alla lunga diventano esplosive. Nel prossimo futuro è imperativo un rilancio di una visione democratica e federalista dell’Europa, per creare un’unione economica e fiscale basata su politiche di crescita e di equità sociale. L’indicazione diretta, da parte dei raggruppamenti di partiti, del proprio candidato alla presidenza della Commissione europea; una disciplina di bilancio rigorosa per l’Eurozona controbilanciandola con la creazione di un bilancio Ue che finanzi sussidi di disoccupazione o un reddito di cittadinanza; lo scorporo della spesa per investimenti, che trainano l’occupazione, dal compito del deficit. E ancora: favorire l’integrazione europea, l’innovazione, la solidarietà sociale e il buon-governo aggiornando i criteri di convergenza a sostegno della coesione sociale e per porre un freno alla corruzione e all’evasione fiscale. Questi rappresentano i passi da percorrere e ciò resta augurabile perché i nostri popoli hanno bisogno di un’unione che permetta un salto in avanti, anche in termini di tutela dei cittadini attraverso un governo economico europeo.

L’Europa può divenire il Continente del diritto internazionale umanitario? Come lavorare per tale percorso?

Gli europei spesso si sottostimano: uniti sarebbero una potenza formidabile, per patrimonio culturale, sapere tecnologico, modello d’integrazione pacifica, intraprendenza economica, conquiste sociali. E non sarebbe una potenza come le altre, poiché l’Europa nasce per una scelta per molti aspetti negativa: evitare nuovamente la guerra. Credo che dunque la vocazione a porsi come potenza di pace fa parte del codice genetico della costruzione europea, anche se non è affatto sempre stato così in questi ultimi anni (e non mi riferisco tanto al Kosovo, quanto ad altri aspetti, come il cacofonico mercato degli armamenti o l’agghiacciante ruolo di alcuni Paesi europei nel genocidio ruandese). Esistono diverse concezioni dell’Ue come potenza “civile” o “normativa” ed effettivamente si potrebbe pensare a dimensioni di questo genere con riferimento all’umanitario così come anche per la politica estera tout court. Un’Unione in quanto “forza del bene” deve essere sostenuta da criteri e standard di valutazione che consentono di qualificare le sue azioni esplicitamente dirette alla protezione delle vittime dei conflitti armati. L’idea di un’Europa pacifica dalla nascita ha posto le basi per la protezione e la promozione di valori quali l’eguaglianza, la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti umani e la sicurezza di uno stato di diritto. Il percorso da seguire è quello di agire in tale senso per trasformare i parametri della politica di potenza con un focus sul rafforzamento del sistema giuridico internazionale promosso dall’Ue attraverso strategie che vanno da una voce unica per la politica estera fino al metodo intergovernativo. Inoltre va aggiunto che la Commissione europea ha proposto l’istituzione di un corpo volontario europeo di aiuto umanitario (EVHAC), che mira a incoraggiare i giovani europei a contribuire alle operazioni di aiuto umanitario dell’Ue e renderli più visibili. Ritengo che questo sia un fondamentale passo per mettere in pratica i principi di cui ci facciamo portatori.

Oramai, grazie soprattutto all’azione di Marco Pannella e dei Radicali, il problema giustizia è considerato una “prepotente urgenza” in costatazione anche del fatto che i mezzi d’informazione iniziano a dedicare più informazione alla tematica di quanto avveniva in passato. Dal suo punto di vista può riassumerci quali sono stati i fattori di tale cambiamento in questi anni?

Sia che si parli di giustizia internazionale che interna alla nostra nazione, certamente la tecnologia ha permesso di indirizzare l’attenzione dei più verso la verità e quindi il più delle volte verso la giustizia. I cittadini si sono resi partecipi (e ci si augura che continuino a farlo sempre di più) del processo decisionale, nella misura in cui hanno indagato sul perché e sul come e a scapito di cosa. A volte ciò è successo by-passando anche i mezzi di informazione che certamente, spinti da una più alta attenzione del grande pubblico, dedicano maggiore cura a temi scottanti che richiedono giustizia. Si riafferma sempre più il “Diritto alla Verità” come principio guida nelle relazioni internazionali, e i Radicali hanno di certo posto questo elemento come pilastro della loro politica anche attraverso la creazione di “No peace without justice”. Partendo dalla considerazione che il multipolarismo a livello internazionale ha rimesso in discussione molteplici dinamiche politiche e diplomatiche derivanti dalle strategie di potenza. Giustizia è declinata in quanto rispetto di valori differenti dalla raison d’état, che è servita come giustificazione dei più potenti. Attraverso una democrazia più partecipativa che oggi va delineandosi, grazie anche a movimenti di advocacy e difesa dei meno rappresentati della società civile, il dialogo politico non rimane a porte chiuse ma si va verso un’agorà aperta a differenti voci che certamente vedono nella giustizia il compimento di un duro lavoro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:12