L’analisi dall’Onu, l’intervista a Perduca

Intervistiamo Marco Perduca, rappresentante all’Onu del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, senatore della Repubblica nella XVI legislatura.

Dai microfoni di Radio Radicale hai sottolineato che l’Ucraina prima dell’attuale interferenza russa non viveva accese problematiche riguardanti l’indipendenza o la secessione di alcune parti del suo territorio. Tali problematiche hanno soluzione naturale all’interno della sede Onu, ma come tutti sanno, una delle controparti, ovvero la Russia, ha il diritto di veto all’interno di tale consiglio. Come dovrebbe muoversi l’Onu e la Comunità Europea?

Le Nazioni unite non hanno competenza relativamente a questioni di carattere prevalentemente politico come quelle che da almeno una decina d’anni esistono in Ucraina. Recentemente, e in modo molto strumentale, e qui è indubbio che vi sia stata un’escalation di intrusività da parte di altri soggetti, c’è chi ha cercato di marcare le differenze tra i vari gruppi politici con elementi linguistico-culturali una volta totalmente estranei dal confronto ma che oggi, almeno dal punto di vista della propaganda, son ritenuti centrali e scatenanti per le reazioni di alcune comunità e quindi anche l’intervento di altri stati. Ma il problema era, è, di malgoverno, di conflitti d’interessi, di corruzione di mancanza del rispetto delle regole e della Costituzione ucraina… Maggiore competenza relativamente a questioni di ordine politico, ed eventualmente di discriminazioni etnico-linguistiche, le avrebbe il Consiglio d’Europa che dovrebbe sorvegliare sia direttamente sia attraverso la giurisdizione della sua Corte a Strasburgo il godimento dei diritto umani contenuti nella Convenzione europea. Allo stesso tempo il Consiglio ha anche un’assemblea parlamentare dove questioni più politiche possono essere affrontate tra i legislatori che ne rappresentano i 47 stati Stati membri. Il Consiglio d’Europa mi parrebbe l’organo maggiormente atto a prendere in carico il problema ma non vedo particolari volontà politiche.

La caduta dell’Unione Sovietica ha spianato la strada all’emergere di una nuova e globalizzata criminalità organizzata mondialmente che si arricchisce proprio a partire dal sistema politico post-sovietico. Per quanto riguarda il traffico illegale di organi, il problema sembra avere dimensioni preoccupanti in Russia, soprattutto a causa della presenza di miglia di cadaveri non identificati negli obitori. Come potrebbe agire, anche in questo gravissimo caso, l’Onu, l’Europa e quale ruolo potrebbe svolgere l’Italia nel contrastare tale fenomeno non solo criminale ma violentemente nemico di tutte le convenzioni internazionali per il rispetto dei diritti umani?

Occorrerebbe rafforzare il lavoro dell’Organizzazione mondiale della sanità e favorire quanto più possibile la cooperazione con l’Ufficio dell’Onu sulle droghe e il crimine al fine di individuare le reti del traffico nella speranza, perché anche qui l’Onu non ha strumenti di azione diretta, che gli stati membri o direttamente o attraverso un lavoro comune, agiscano penalmente nei confronti di chi viola i diritti umani e gestisce il commercio degli organi e/o degli esseri umani. Anche qui il Consiglio d’Europa ha competenze specifiche ma purtroppo non ha gli strumenti necessari per farle applicare. Qualora si dovesse evidenziare un’attività che ha come vittime uno specifico gruppo con attacchi massici e protratto nel tempo potrebbe esser anche attivabile la giurisdizione della Corte penale internazionale, specie se si dovesse esser in zone dove esistono dei conflitti in corso. Ma a oggi, le organizzazioni internazionali, non hanno tutti gli strumenti necessari per poter “governare” i fenomeni transnazionali, neanche il Consiglio di Sicurezza può arrestare direttamente, deve comunque basarsi sulla cooperazione degli stati membri.

Il 9 maggio, il Consiglio d’Europa ha acquisito come documento di lavoro la lettera del Partito Radicale relativa all’illegalità costituzionale in Italia in merito alle misure e riforme necessarie per corrispondere alla sentenza Torreggiani della Corte di Strasburgo che denuncia la sistemica violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani – che vieta i trattamenti disumani e degradanti – nei penitenziari italiani. Come muoversi, ulteriormente, in ambito internazionale per ripristinare lo stato di diritto in Italia a partire dalla condizione dei nostri istituti penitenziari e del sistema giustizia in generale?

Intanto dovremo vedere come la Corte reagirà dal 28 maggio, scadenza fissata dalla sentenza Torreggiani, a tutta la documentazione inviatale dalla Repubblica italiana e dagli altri soggetti interessati - e inviata al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, l’organo politico che prende le decisioni esecutive relativamente alle sentenze della Corte - perché è la prima volta che la Corte europea ha adottato una “sentenza pilota” e quindi nessuno ha ben capito quali siano i passi successivi. Certo è che se la reazione della Corte e del Comitato dovessero limitarsi all’imposizione di sanzioni e di richieste di risarcimenti, questioni sicuramente gravi, senza però paventare una sospensione della membership dell’Italia del Consiglio d’Europa per mancata risposta riformatrice, penso che poco cambierà in Italia relativamente al rispetto della legalità costituzionale e degli obblighi internazionali del nostro paese. Occorre aggiungere altri temi a quelli al centro delle indagini della Corte, oggi, principalmente concentrati sui trattamenti inumani e degradanti, l’irragionevole durata dei processi e i respingimenti dei migranti, allo stesso tempo occorre attivare quante più giurisdizioni, o quasi-giurisdizioni, possibili per continuare a mettere in mora la mancanza di Stato di Diritto in Italia.

Tematica di cui ti sei particolarmente occupato è la complicità dell’Italia nel ruolo giocato come mediatore tra Bush, Blair e Gheddafi e nella pianificazione e boicottaggio all’esilio di Saddam Hussein. Come contribuire al chiarimento internazionale delle responsabilità e delle violazioni che in tale ambito si sono compiute?

Credo che il modo migliore per poter contribuire all’emersione di una parte della verità relativamente al modo con cui anche l’Italia si è adoperata per creare le condizioni per l’attacco all’Iraq, potrebbe esser quello della desecretazione di alcuni documenti relativi ai contatti tra Berlusconi e Gheddafi del febbraio 2003. Il Presidente Renzi ha annunciato l’intenzione di togliere il “segreto di Stato” su numerosi documenti, sui memorandum tra Roma e Tripoli il segreto non era mai stato posto quindi, anche dal punto di vista amministrativo, il processo di pubblicizzazione potrebbe essere meno complicato. Non so se in effetti da quelle informazioni si possano trovare elementi di violazione della legalità internazionale, sicuramente si tratterebbe di importanti elementi storico-politici da tenere in considerazione per ricostruire le responsabilità di allora e per ristabilire un minimo di reputazione nei confronti di quello che una volta chiamavamo “Occidente”, che ha sostituito la “ragion di Stato” allo Stato di Diritto.

Nelle prossime settimane è prevista l’uscita del tuo primo libro “Operazione Idigov, come il Partito Radicale ha sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni Unite”, ci descrivi brevemente di cosa tratti e quale capitolo della storia del Partito Radicale Transnazionale riporti alla luce?

Il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito è affiliato al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni unite dal 1995. Nella primavera del 2000, la Federazione russa di Vladimir Putin ne chiese l’espulsione per aver fatto parlare davanti alla Commissione diritti umani di Ginevra il parlamentare ceceno Akhyad Idigov. Attraverso la pubblicazione di documenti ufficiali, memorandum interni del Partito e miei ricordi personali si ripercorrono le iniziative istituzionali, politiche e parlamentari messe in atto tra Roma, Bruxelles e New York perché l’Onu rigettasse la richiesta russa. Non vuole essere un manuale di lobby, ma un documento che racconta come un’organizzazione non-governativa sia riuscita a mobilitare decine di paesi a sostegno non solo di se stessa ma anche di quello che negli anni aveva rappresentato all’Onu: un partito al servizio dei silenziati e degli oppressi di mezzo mondo. Negli anni, il Partito Radicale è riuscito a mobilitare con successo l’opinione pubblica transnazionale nel perseguimento di obiettivi di rilevanza globale come la creazione dei tribunali ad hoc per la ex Yugoslavia e il Ruanda, l’istituzione della Corte penale internazionale, la proclamazione di una Moratoria Universale della pena di morte e la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:03