Il Cavaliere riapre   i giochi a destra

Berlusconi ha parlato. Lo ha fatto al momento giusto e con toni dialoganti. La lettera, pubblicata da “Il Giornale” nello stesso giorno in cui si è tenuta l’assise nazionale del Nuovo Centrodestra, non ha rappresentato una semplice coincidenza. Si leggeva nelle intenzioni del Cav. la volontà di riavviare un percorso unitario, ormai smarrito dopo le consultazioni elettorali dello scorso anno.

Ma cosa ha detto veramente Berlusconi? Tra le sue convinzioni più granitiche vi è quella della necessità di riunire i cosiddetti moderati, per contrastare la marea montante del voto a sinistra e per tornare a vincere. Il leader di Forza Italia si ostina a invocarne l’unità, sostenendo che un’ampia quota di essi si sia rifugiata nell’astensione dal voto, perché delusa dalla frammentazione dell’offerta politica del centrodestra. Siamo convinti che sia così?

In realtà, nella storia italiana il moderatismo in politica ha fatto da sponda al bisogno di conservazione dello status quo manifestato da quella parte di ceto medio composto dai “garantiti”. Quest’ultimi hanno attraversato la crisi strutturale della nostra economia e ne sono usciti quasi indenni. Al più, hanno sofferto una parziale contrazione della capacità di produrre risparmio. Un danno collaterale accettabile se si pensa alla sorte, ben più tragica, toccata alla porzione di ceto medio che, invece, è scivolata nell’area della povertà.

A ben vedere, il dato lampante è che la quota di elettorato risparmiata dagli effetti della crisi, la quale era un tempo organica al centrodestra, sia stata compulsata con successo da Matteo Renzi mediante l’adozione di provvedimenti mirati, come il caso degli 80 euro lasciati in busta paga. Gli elettori di questo segmento della società non sono affatto rimasti a casa il giorno delle ultime elezioni.

Al contrario, si sono recati alle urne e benché si votasse solo per il rinnovo del Parlamento europeo, hanno voluto dare ugualmente un segnale chiaro di apertura di credito al giovane leader del Partito democratico, dimenticando le antiche simpatie. Se la tendenza dovesse essere confermata, il problema per la riunificazione del centrodestra sarebbe ben più complesso di quanto oggi si possa immaginare.

In compenso, c’è un’Italia dimenticata, che gravita economicamente nell’universo della micro e piccola impresa manifatturiera, nei settori del commercio e dell’artigianato, in parte del mondo delle professioni e dei lavori atipici, nel grande bacino dei pensionati a basso reddito e dei lavoratori precari, che è stata falcidiata dagli eventi condotti dalla globalizzazione del mercato. Sono gli “invisibili”, mancati all’appello nella conta delle urne, a cui non sarà certo il richiamo al moderatismo a scaldare i cuori e a dare nuove speranze.

D’altra parte, lo scivolamento verso una politica marcatamente centrista aprirebbe una prateria di consensi per coloro, è il caso del Movimento 5 Stelle, che sono proiettati a intercettare la protesta anti-sistema, confusamente definita anti-casta politica. Pensare oggi di ricostruire uno schema di bipolarismo classico tra un centrosinistra e un centrodestra, che si contendono la guida del Paese, non tiene conto della realtà.

Il quadro che le ultime tornate elettorali ci hanno consegnato è quello di un’Italia tripolare, dove su tutti fa aggio l’astensione dal voto. In tale ottica, l’area tradizionalmente centrista è destinata a rimanere compressa. Pensare di orientare l’aspettativa per una destra liberale, laica e rivoluzionaria dal punto di vista della politica riformatrice verso una riserva indistinta del centrismo di marca democristiana equivarrebbe a un clamoroso suicidio politico.

A maggior ragione ciò sarà vero quando, in autunno, la crisi tornerà a farsi sentire con più intensità e coloro che l’hanno subita in passato saranno chiamati a compiere un altro, insostenibile, sforzo di sopravvivenza. Sarà quello il punto di non ritorno per un sistema sociale a forte rischio di rottura. Per quel giorno è opportuno che la destra si faccia trovare pronta con una proposta alternativa. Altrimenti, la possibilità di vedersi associata alle colpe di un Governo per nulla incidente sulle contraddizioni e sui drammi reali del Paese, sarà pressoché inevitabile.

Per raggiungere questo fondamentale obiettivo è necessario che non ci si faccia irretire dalla provocazione, di segno ideologico, del duo Alfano-Casini, per i quali la sola alternativa di destra al centrismo moderato sarebbe l’estremismo radicale del populismo anticapitalista, antieuropeista e genericamente razzista.

Non è vero: un’altra destra è possibile. Si tratta soltanto di avere il coraggio di volerla. Senza tentennamenti e, soprattutto, senza lasciarsi prendere dalla fregola per i facili compromessi pur di appagare una troppo diffusa ansia prestazionale nelle urne.

Quando c’è una tempesta ognuno deve pensare a mettere al sicuro chi gli è più a cuore. La destra pensi a tutelare il suo potenziale elettorale. I vecchi e i nuovi democristiani, i quali si industriano a tenere i piedi in tutte le scarpe disponibili, che si arrangino da soli. Certo, non sarà con i voti “salvagente” della destra che potranno restare a galla.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:20