Benigni a Ballarò sarà a costo zero?

“Diciamoci la verità”. Benigni a Ballarò a costo zero chi ci crede? È arrivato il giorno della sfida: La7 contro Rai 3. Per una trasmissione di approfondimento politico si sono moltiplicati gli schieramenti, le “truppe cammellate”, i contratti, tecnici e operatori.

La televisione di Urbano Cairo non ha guardato a spese per avere nel pacchetto dei suoi “anchorman” acchiappa-popolo della sinistra radical-chic anche Giovanni Floris, nato e cresciuto da “Mamma Rai”. L’ultima retribuzione di circa 500mila euro l’anno non era più sufficiente alle ambizioni di “Giova”, come lo chiamava il comico Maurizio Crozza nella sua copertina iniziale. Floris, dopo l’uscita di Michele Santoro dalla Rai, raccoglieva il martedì ampi consensi televisivi superando anche i 5 milioni di ascoltatori. Non si è limitato ad invitare l’intero panorama dei partiti di centrosinistra, che hanno comunque sempre avuto un posto privilegiato e assiduo. Ha ottenuto nel suo programma tutti i big del centrodestra a partire da Silvio Berlusconi, preferendo però scegliere lui gli interlocutori della destra (come Gianfranco Fini), per finire di lanciare alcuni poco noti al pubblico televisivo come Renata Polverini, allora segretaria generale dell’Ugl. Floris, per avere un contratto extraredattore Rai, si è dimesso da redattore e approfittando del buon momento ha ottenuto, da esterno, un sostanzioso contratto da conduttore e autore del programma. La visibilità televisiva lo ha favorito nella pubblicazione di alcuni libri. Perché se n’è andato dalla Rai? La scelta, ha detto, è stata professionale, per battere nuove strade. L’offerta di Cairo è stata di quelle da non rinunciare: 4 milioni per 3 anni. Impegno a tempo pieno: tutti i giorni dalle 19.40 per una striscia di una quindicina di minuti e l’approfondimento “Dimartedi” con il gruppetto dei soliti noti a partire da Crozza al sondaggista Pagnoncelli, che si fa pagare le sue rilevazioni anche dal Corriere della Sera.

I risultati della striscia preservale per ora sono mediocri. Il traino per il telegiornale di Enrico Mentana non è esaltante per “mitraglia” che guida una “scorpacciata” frenetica di opinionisti politici, da Lilly Gruber a Luca Talese (in attesa di Santoro).

Per reggere la sfida lanciata da Floris, la Terza Rete ed i piani alti di viale Mazzini hanno pensato di rivolgersi agli “amici” de “La Repubblica”, pescando in Massimo Giannini il conduttore giusto per Ballarò pur avendo fatto in televisione solo “comparsate” da ospite. Perché dopo 28 anni a La Repubblica, come vice di Eugenio Scalfari e di Ezio Mauro, ha fatto il salto sul terzo canale? La spiegazione è stata quella della volontà di cambiare, utilizzando uno strumento di comunicazione ben più vasto dei lettori del quotidiano-partito, come è stato identificato da molti osservatori il giornale di Debenedetti-Caracciolo che la settimana scorsa ha perduto Pierluigi Melega, uno dei fondatori ma anche deputato radicale dal 1979 al 1983, compagno di Irene Bignardi. Un giro, anzi un circolo, quello di Repubblica di casa al Tg3 fin dai tempi di Alessandro Curzi e Angelo Guglielmi, quando al Tg3 collaboravano anche Miriam Mafai, Corrado Augias e Lucia Annunziata.

Sulla retribuzione di Giannini sia la Rai che l’interessato hanno alzato una cortina di silenzio, eppure la trasparenza di un’azienda pubblica obbliga a rendere note le spese. Giannini è pagato con i soldi del canone oppure dalla pubblicità (più o meno indiretta)? Secondo il tam tam di Saxa Rubra il compenso si aggirerebbe intorno ai 2 milioni di euro per un biennio, onnicomprensivo (a parte i collaboratori).

Per Roberto Benigni viale Mazzini ha fatto presente che la prestazione del comico è a titolo gratuito. Ci credono in pochi e il direttore generale Luigi Gubitosi, che vuole passare per quello che taglia tutte le spese in più, farebbe bene a spiegarlo alla Commissione parlamentare di vigilanza. E il Cda, che deve essere rinnovato, tace.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:07