Regionali: la cronaca di   un disastro annunciato

I dati elettorali della Calabria e della Emila e Romagna, confermano il disastro annunciato. In entrambe le regioni più di un elettore su due, la scorsa domenica, è rimasto a casa. La vittoria è stata del partito dell’astensione. Ciò significa che il paese si è messo su una pessima china. Faccia poco il gradasso Matteo Renzi. Non ha nulla di che gioire. Se non l’avesse capito gli italiani delle due regioni interpellate, al netto delle specificità locali, hanno in grande maggioranza voltato le spalle alla rappresentanza politica impersonata dai partiti tradizionali.

Ora, la preoccupazione è che, nei prossimi mesi, si radicalizzerà nelle piazze l’opposizione al governo. Domenica hanno perso tutti, sebbene in diversa misura. Fa un bel dire il Partito democratico a twittare che ha battuto la destra 2-0. Se fosse stata un’assemblea di condominio non sarebbe stata valida per mancanza di numero legale. Figurarsi che legittimazione possano avere due governatori eletti da circa il 40% degli aventi diritto. Con l’astensione quella parte d’Italia chiamata alle urne ha inteso lanciare un messaggio forte e chiaro alla politica. Ha detto che la linea di condotta assunta dal governo per contrastare la crisi non funziona.

Non è un caso se, nello sconforto generale, l’unico partito che abbia retto l’impatto delle urne sia stato quello di Matteo Salvini. La Lega ha puntato le sue carte parlando ai cittadini di problemi reali, alla portata dell’uomo della strada. Probabilmente il suo risultato in termini numerici sarebbe stato ben più consistente se non si fosse trattata dell’Emilia e Romagna. Nella regione più rossa d’Italia, dove l’apparato dirigente del mai del tutto defunto Partito Comunista governa da sempre, il corpo elettorale non se l’è sentita di passare armi e bagagli a destra.

I delusi di Renzi e dell’ occupazione piddina dei palazzi del potere locale hanno preferito rifugiarsi nell’astensionismo, ma il loro non-voto odora in parte di “vorrei ma non posso” per la politica del buon senso praticata dalla Lega. Anche il movimento di Grillo non è più ritenuto affidabile ai fini della protesta. In Emila e Romagna, dove tutto è cominciato, i 5Stelle hanno raggranellato un misero 13%, che in termini assoluti di voti è ben poca cosa. In Calabria, invece, sono quasi scomparsi restando sotto il 3%. Tuttavia, il dramma vero resta per il risultato di Forza Italia.

Soltanto una classe dirigente cieca, rinchiusa nella torre eburnea dell’autoreferenzialità, poteva non accorgersi della frana che stava venendo giù. Il partito di Berlusconi non ha saputo, o voluto, leggere la crisi in cui è precipitato il paese. Si è insistito all’inverosimile sulla rincorsa al voto dei moderati, senza rendersi conto che quel blocco sociale, che un tempo legittimava il moderatismo politico del centrodestra, non esiste più. E’ andato in frantumi. Quando i capi del partito azzurro lo capiranno sarà forse troppo tardi. La reazione più disperante alla quale abbiamo assistito in queste ore è il frastornamento degli speaker del partito di Berlusconi che continuano a ripetere, come fosse un disco rotto, che il crollo elettorale sia stato causato dall’inagibilità politica del suo leader.

A nessuno di loro sfiora il pensiero che l’aver visto Berlusconi appoggiare acriticamente Renzi in questi mesi, l’aver mancato di una politica chiaramente oppositiva alle scelte del governo, con buona pace del povero Brunetta, vox clamantis in deserto, abbia prodotto un naturale senso di disaffezione, se non di ripulsa, nel tradizionale elettorato di riferimento? Un tempo, dopo uno scossone di tale portata, avremmo consigliato agli sconfitti di rimboccarsi le maniche e cominciare da zero a ricostruire il consenso perduto. Oggi, invece, la situazione ci appare molto più grave del previsto per cui ci permettiamo un modesto suggerimento. Si fermino tutti per un attimo, si siedano intorno a un tavolo e decidano una volta per tutte cosa fare di Forza Italia e di questa destra. Se non si chiariscono perbene le idee su dove andare è perfettamente inutile che si mettano a litigare per chi deve occupare i posti di prima fila. Se continua così non ci sarà spazio sufficiente per nessuno di loro nel futuro del paese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:21