Il meno peggio   (che non c’è)

Rebecca (nome di fantasia per indicarne una fra tante) decide di replicare nella realtà una sua eroina di una qualche serie televisiva ed esce di casa per rimediare con lo shopping ad una delusione: va in centro, si aggira tra le vetrine, non trova niente che la soddisfi e torna a casa più delusa di prima – da uomo non so se possa succedere che una donna uscita per far spese rimanga a mani vuote. Ma il concetto è qui: potete definirlo di bassa lega, azzardato, populista (oggi se non ti pigli del populista non sei degno di critiche), privo di spessore: amen. Se uno scrutando i candidati non ne trova uno che sia uno che solletica la sua attenzione, non si reca al seggio perché può verificarsi che l’opzione ultima, il meno peggio, non valga.

Votare è un diritto, i diritti possono essere esercitati o no, non sono un obbligo. La lagna che attanaglia il dibattito dopo le elezioni emiliane puzza di vecchio e di polvere. Né Renzi (mettere una croce sul Pd: nemmeno il pragmatismo più spinto, ossia “il meno peggio”), né Grillo, né Salvini: l’altro Matteo si batte come un leone su immigrazione, sicurezza e non euro. Se aggiungesse dell’altro, se spiegasse come si possa effettivamente uscire dalla moneta unica venendo a patti con i trattati che l’hanno istituita, se facesse chiarezza sugli effetti della scelta (ai miei risparmi ci tengo, già c’è lo stato che li brama con la bava alla bocca), allora potrebbe ottenere la mia attenzione, altrimenti si metta in fila dietro al rais pentastellato.

Il resto della compagnia non è nemmeno pervenuto.

 

(Tratto da Notapolitica)

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:05