La discriminazione   dell’elettore

Per la seconda volta nel 2014 gli italiani, anche se solo in parte, sono andati a votare. Anche ora che le elezioni e le consultazioni di massa non sono né di moda, né gradite., il sistema gira attorno alla cabina elettorale. E’ un retaggio del passato nel quale il voto è stato quasi una droga, un’assuefazione. Si andava ad eleggere tre, quattro, cinque livelli di governo destinati ad intralciarsi l’un con l’altro. E lo si faceva più spesso del dovuto per continue crisi e spaccature tra gli eletti che avevano la cattiva abitudine di fluttuare continuamente in nuove componenti, in nuovi gruppi assembleari ed in nuovi partiti. Poi dagli anni ’80 il ricorso alle urne anzitempo ha trovato nuove motivazioni nell’azione della magistratura.

All’inizio bastò diffondere la notizia di indagini per rendere un ministro, un assessore, un sindaco facile preda dei suoi stessi colleghi di partito, ma di diversa componente. Poi ci è voluto sempre di più per ottenerne le dimissioni o fargli perdere voti e consensi. Sempre di più, dall’avviso di reato, all’arresto, le manette, la reclusione, la condanna, di primo grado, di secondo definitiva, fino al decadimento ufficiale. Finché non si è giunti al sindaco che resiste anche dopo condanna e decadenza. L’ubriacatura delle parti, sia di chi non si ferma davanti a niente pur di rovesciare un responso politico, adottando ogni strumento politico, mediatico e giuridico, sia di chi resiste davanti ad ogni assalto, non poteva non far andare su di giri l’elettore.

A questo ultimo giro, tenutosi in uno dei migliori pezzi del paese, ed in uno dei peggiori, il potenziale votante si è in larga parte astenuto. Il primo partito rappresenta il 16% effettivo, il secondo l'8% degli aventi diritto. Seguono altri al 3%. Dominante un quasi 70% in muto dissenso rispetto l'andazzo. Se le istituzioni ed i poteri forti sono alterati, straparlando o straagendo come fossero ubriachi e drogati, anche il cittadino può naufragare i propri dispiaceri nel bicchiere e sognare i fumetti di Scozzari (“Il voto? Siate squisiti, mandateli a cagare”). Ora le teorie si dividono. C’è chi sostiene a ragione che conta il risultato, al di là della partecipazione. Lo si attende al varco quando i votanti saranno il 20%.

C’è chi sostiene che la colpa sia del cittadino. Secondo un consigliere democratico sardo “la vera responsabilità è del cittadino che si disinteressa della vita pubblica e non partecipa alle elezioni.” Secondo questa teoria, l’astenuto è un omertoso, che come nel sistema mafioso, tace e non denuncia. E’ una critica rivolta al potenziale elettore di sinistra, proveniente da un palco che teoricamente si ostina a volersi dire di sinistra. Una critica rivolta all’astensione qualunquista o di destra, invece non c’è. Per molti commentatori, soprattutto del mainstream mediatico, questa non è affatto un male, anzi.

Come scrisse un esponente Rai a proposito del centrodestra, “c’e un pezzo di Italia che esiste, che ha energia, radicalismo, voglia di combattimento, anche in forme inquietanti, che fa risuonare le parole di sempre contro i giudici, contro quei pochi giornalisti che ancora fanno inchieste e domande, e contro il nemico di sempre, la Costituzione repubblicana... una base sociale che ha una profonda empatia con il capo, di tipo antropologico ancor prima che politico.. che non può essere esorcizzata a colpi di anatemi, perché potrebbe persino crescere”.

Da questo punto di vista, l’astensione di destra di oggi, assimilabile al voto per i 5 stelle di ieri, è comunque il pronunciamento di chi “non si aspetta una moralizzazione della vita pubblica, ma benefici materiali immediati e visibili, compresa la restituzione dell’Imu, i condoni, (magari) l’effettiva uscita dall’euro”. Il sottotitolo democratico quasi auspica questo tipo di astensione che metterebbe fuorigioco opinioni e interessi poco accettabili. Malgrado l’evidente opinione degli addetti ai lavori e della grande informazione, l’elettore generico però non è un cretino e neppure un delinquente. Non poteva approvare il trasformismo, sistema principe della politica italiana risalente alla fine dell’800, ma vi vedeva almeno un movimento di interessi delle elites di Mosca e Pareto, che in qualche modo aveva bisogno del suo voto.

L’elettore si era reso conto più recentemente che la via giudiziaria al potere prescindeva dal suffragio elettorale, però sperava almeno in più “legge e ordine”, pur nel ritorno agli antichi metodi della confisca dei beni e dell’esilio. Certo non si sarebbe atteso il risultato di una continua destabilizzazione. Ora l’elettore vede che da tre anni e da tre governi, il suo voto è ininfluente. Che la partecipazione è scoraggiata. Che il domino burocratico è incontrastato. Che non ci sono serie proposte alternative alla guida sostanziale dell’Europa di Bruxelles. Che il paese trasferisce all’estero più fondi all’estero di quanto non ne riceva. Che le evidenti aspirazioni della politica al centralismo, ora di moda, cozzano con la ragnatela di norme e persone.

Che le aspirazioni nordiste alla leadership sono fallite. Che la difesa della legalità della destra è naive e che quella della sinistra è un’arma di distruzione di politici come di persone comuni. Che la difesa sociale dei meno abbienti è in mano ai loro sfruttatori. Che l’uso dei termini liberale e progressista è ridicolo. Soprattutto capisce che un unico partito sta bene a Europa, America, giustizia e piazza forcaiola. Intuisce che la sua istintiva e legittima difesa degli interessi materiali è già un reato. Perciò dopo tre anni così e sei di depressione economica, l’elettore è passato dall’indignazione alla rassegnazione fino alla paura. Si astiene per nascondersi, timoroso della montante discriminazione ai suoi danni. Finché non riceverà a casa la cartolina di rinviare firmata di fedeltà al pensiero democratico.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:12