L’Interpol e l’utilizzo  delle autocrazie

L’Organizzazione internazionale della polizia criminale, Interpol, nasce e si sviluppa con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione tra le 187 polizie nazionali riconosciute per contrastare la criminalità organizzata. Per statuto giuridico, l’Interpol non deve occuparsi di problematiche collegate alle persecuzioni politiche.

Sono molte le organizzazioni non governative e per la tutela dei diritti umani, tra le quali il Comitato Italiano Helsinki, la Fondazione “Open Dialog” ad Amnesty International, che sottolineano la presenza di punti deboli nel sistema di regole che dirige l’organizzazione internazionale di polizia, permettendole di divenire protagonista di numerosi “abusi internazionali”. La storia è costellata da vicende collegate alla soppressione delle opposizioni da parte dei regimi e alla sopraffazione delle minoranze etniche e linguistiche. Una metodologia sempre più utilizzata da parte delle “autocrazie” consiste nell’imputare agli esponenti di spicco delle opposizioni in esilio reati di stampo finanziario e collegati al “riciclaggio di denaro”, chiedendo all’Interpol di emettere un avviso di “ricerca rosso” dell’imputato.

Quello che le organizzazioni per la tutela dei diritti umani imputano all’Interpol è la mancanza di un filtro e di una accurata analisi nelle richieste fatte dai governi, inviando troppo semplicisticamente a tutte le altre 187 polizie nazionali associate la segnalazione dell’imputato. E’ quanto capitato in Italia con il caso della moglie e della figlia, Alma Shalabeyeva e la figlia minore Alua, del dissidente del Kazakistan Mukhtar Ablyazov. L’espulsione della Shalabeyeva fu commessa in palese violazione dei diritti fondamentali riconosciuti. Tali strumenti sono costantemente utilizzati da governi autoritari quali la Russia, il Kazakistan, la Bielorussia e il Turkemenistan.

Con l’avvio del sistema I-link, introdotto nel 2009, ognuno dei 190 Paesi che fanno parte dell’organizzazione di polizia internazionale può inserire un ricercato nel database dell’organizzazione, rendendo le informazioni immediatamente accessibili alle forze di polizia locali, senza indagare sul contenuto degli avvisi e rendendo possibile ad alcuni paesi di abusare del sistema per catturare i dissidenti in fuga. Oltre il famoso caso della Shalabeyeva sono molte le problematiche registratesi nel corso degli anni, come la vicenda del giornalista e dissidente russo Petr Silaev che, nell’agosto 2012, si ritrovò rinchiuso in un carcere di Madrid rischiando l’estradizione.

Stessa vicenda per il candidato dell’opposizione bielorussa, Ales Mihalevic, che fuggì dal suo Paese nel 2010 perché in pericolo e venne tratto in arresto dalla polizia polacca con il rischio di essere estradato. La conoscenza di tali fenomeni è necessaria sia per denunciare l’abuso commesso da alcune nazioni sia per richiamare l’attenzione sulla non funzionalità e pericolosità delle regole utilizzate dall'organizzazione Interpol.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29