La speranza: il ritorno del grande Re Riccardo

Il fisco, questo sconosciuto, una sorta di leviatano che incombe su tutti i cittadini, che oggi devono essere più virtuosi che in passato. Perché? Perché sono finiti i tempi del “do ut des”, così siamo transitati dall'Era del selvaggio “ut des” a quella della austerity e del solitario “do”. Come una delle cicliche pandemie dei secoli scorsi, si è fatta strada una nuova pestilenza: “L'evasione”. Radicata, ormai, nel genoma fino a divenire un anello della catena. Così, come è di regola per i Paesi portatori di una pandemia, L'Italia è diventata una sorvegliata speciale presso i parenti europei ed è definitivamente scomparsa dal panorama internazionale (se non per le ipotesi in cui sia necessario essere pubblicamente schiaffeggiata! Vedi il caso Marò), in attesa della cura ufficiale o della scoperta di un antidoto.

Tuttavia, per gli inguaribili romantici esisterebbe una lettura meno asfittica del fenomeno, per cui al rigore ed alle ragioni del freddo statalismo si opporrebbero la flessibilità e l'umanità illuminante dell'individualismo. Ricordate la storia di Robin Hood? Il giovane brigante che sottraeva alle casse della corona, per donare ai poveri contribuenti di Re Giovanni? Forse anche per noi sarebbe il caso di attendere che ritorni Re Riccardo? Perché non vivere allora nella illusione che, invece, Re Riccardo possa tornare e sperare così in un, sia pur, pallido alleggerimento della fiscalizzazione o, cosa più necessaria, nella creazione di piattaforme di impunità contenute in un margine accettabile? Una sorta di guarentigia per la pesante condizione vissuta dai sudditi fino al suo ritorno? L'Italia non è più la grassa vacca da mungere fino allo sfinimento da qualsiasi governo la faccia pascolare è, anzi, una vecchia mucca che non ha più latte e che se mandata al macello non produrrebbe una quantità di carne sufficiente a sfamare una famiglia.

Così su questa Italia, sfinita e provata, si apre il sipario di una tragedia con unico atto : quello di un prepotente e corale “j'accuse”. Si accusa lo Stato per aver sistematicamente omesso di perseguire l'obiettivo primario di una democrazia moderna: l'indiscriminato benessere dei suoi cittadini. Si accusa lo Stato per non essere stato capace di intervenire, in tempi ragionevoli, sulla moralizzazione di una classe politica che, come una infezione, si autoriproduce. Si accusa lo Stato per aver trasferito i suoi poteri ad un pachiderma, chiamata Pubblica amministrazione, che in tutti questi anni ha sfiancato e demolito ogni singolo utente. Si accusa lo Stato di aver prodotto una tale quantità di leggi che si attorcigliano intorno alle materie, come una edera soffocante.

Si accusa lo Stato perché quello che solitamente una nazione ottiene impiegando un numero limitato di persone e di energie, nel nostro paese si ottiene impiegando una task force e una quantità di denaro pubblico che non troveranno mai una adeguata giustificazione. Si accusa lo Stato per aver generato una quantità di controllori che esorbita i controllati: Corte dei Conti, Garanti della concorrenza, della privacy e pigmenti vari, su cui si staglia autorevolmente la neonata figura del Garante anticorruzione. Si accusa lo Stato perché pretende, ora e subito, quello che avrebbe dovuto ottenere in tutti questi anni. Cosa ci sia di sbagliato in questo pacchetto fiscale forse non importa più, mentre importa ciò che di buono dovrebbe contenere. Cosa contiene: sicuramente, da un lato, porge la mano al grande evasore (vedi la franchigia del 3% sui reati per frode), mentre dall'altro tenta timidamente di dare spazio normativo al problema della microevasione o evasione necessaria (vedi la depenalizzazione della falsa fatturazione sotto i mille euro), senza però offrire la seria possibilità ad un fisco miope, di mettersi gli occhiali e guardare da vicino il trasgressore.

Inoltre su di esso si è abbattuto il caso “abuso di diritto” e come sempre, quello che avrebbe potuto essere un atto di grande civiltà giuridica, diventa un mistero. Questo articolo 10bis, così come formulato, dice più di quello che serve e molto poco di quello che servirebbe. Non si capisce quale possa essere il pregio di questa norma , dal momento che spetterà sempre alla magistratura riempire di contenuti la serie di incisi “indipendentemente dalle intenzioni del contribuente” o ancora “operazioni prive di sostanza economica”, che possono offrire uno spiraglio al trasgressore, ma solo ad esito di un contenzioso. Sarebbe necessario rammentare al legislatore che, non a caso, l'abuso del diritto è una clausola aperta una sorta di via di fuga, il cui riempimento è da secoli demandato alla sensibilità giuridica del magistrato. E che così opinando, risulta pericoloso sia inserirla come criterio di punibilità che di esenzione.

L'unica solida certezza è che al variare dei governi, variano le soglie di punibilità e le conseguenti condotte censurabili. Insomma cambiamo qualcosa affinché nulla cambi! Allora parlando in termini costruttivi e scrollandosi di dosso il j'accuse, che si leva silenzioso contro ogni sopruso normativo che in questi anni ha dilaniato questo paese, guardiamo a ciò che di buono dovrebbe essere fatto. Per cominciare avere le idee chiare su chi e quali condotte sanzionare e metterlo nero su bianco e soprattutto non far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta. I reati tributari sono stati sempre il pendolo di Foucault, spostandolo da un colore politico ad un altro, cambia la sua oscillazione e se la politica è compromesso la legge no, la legge è certezza. Ma, senza sottolineare l'ovvio, sarebbe giunto il momento di ricordare che la giustizia ha due velocità: quella dei grandi processi a carico dei colossi dell'economia, dove si può fare giurisprudenza (rectius notizia) e quelli degli anonimi ladri di galline dove è più facile calare la mannaia.

Basterebbe solo correggere questo divario per dire che siamo a metà dell'opera! Insomma diamo una speranza al popolo di Sherwood, di poter finalmente uscire dall'illegalità e di riacquistare la dignità che gli spetta, perché la cura più efficace contro la malattia genetica che chiamiamo evasione è paradossalmente “l'inversione”. L'inversione di tendenza è ormai un dovere per lo stato come lo è quella del cittadino di difendersi. Difendersi dalla longa manus di un fisco che passa al setaccio la tasca degli italiani, anche se questa è vuota; il fisco che è il socio occulto di tutte le società che aspirino ad un degno fatturato; al fisco, che in nome del welfare state solo “à la carte”, chiede senza restituire. Insomma in una moderna economia, in cui è assiomatica la teoria dell'ottimo paretiano, noi riusciamo ad ottenere solo un “ottimo fantozziano”, per cui diamo allo Stato, in attesa di riceverne in cambio lo schiaffo consolatore. Al presidente del Consiglio offriamo l'opportunità di guardare con umanità al popolo di Sherwood, perché anche loro si vedano riconosciuto il sacrosanto diritto alla redenzione e a sentirsi parte di qualcosa.

L'inflessibilità dei ben pensanti lasciamola al palcoscenico privilegiato della cronaca, dove sono sempre gli stessi a parlare ed a commentare la disperazione di un popolo che tenta di sopravvivere a se stesso. Chiediamo aiuto, come è legittimo che sia per chi sta affogando, chiediamo pietà e comprensione, chiediamo, fin tanto che anche questo diritto non ci sarà negato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:34