Il Bel paese triste

Mai come in questi ultimi tempi si è parlato tanto spesso, per il nostro Paese, di declino, sindrome del declino, retorica del declino. Qualsiasi dizionario definisce il termine declino come: decadenza, scadimento, dissoluzione, rovina, morte; la parola retorica, da grande disciplina che ha attraversato i millenni, ha finito per assumere un significato spregiativo e il termine sindrome, derivato dalla patologia clinica, sta ad indicare un complesso di atteggiamenti di turbamento psicologico, a livello individuale o collettivo, con cui si reagisce in modo abnorme ad una situazione critica.

Orbene, la situazione dell’Italia, andata in crisi anche in conseguenza della messa in atto di interventi di emergenza per affrontare, invece, problemi strutturali con provvedimenti congiunturali a breve, autorizza a parlare di declino nelle sue configurazioni più forti (rovina, esaurimento, morte) o in quelle più moderate? Dunque, declino effettivo nelle sue forme più radicali o soltanto retorica del declino o sindrome del declino o cultura del declino da combattere? Di certo, il cronico pessimo stato dei conti pubblici, il tasso di crescita - il più basso in Europa - negli ultimi anni prossimo allo zero, il tasso di fertilità tra i più bassi nel mondo, il costo dell’energia tra i più cari nel mondo, il tasso di statalismo altissimo e in crescita, l’indice globale di competitività del Paese da molti anni in costante diminuzione, la scomparsa o quasi di interi settori produttivi e, più in generale, lo stato di sofferenza e di debolezza di tutti i parametri economico-sociali, mostrano un Paese in fase di grave stagnazione.

La quasi scomparsa di settori nei quali eravamo all’avanguardia, come la chimica, l’informatica, l’elettromeccanica, l’aeronautica civile, la crescente umiliazione della cultura scientifica, la vistosa caduta del tasso di legalità, la pratica sparizione del diritto fiscale, il passaggio sotto controllo straniero di gran parte della grande distribuzione, la crescita continua del parassitismo politico e della corruzione (basti pensare solo all’ultimo decennio, dai Penati-Lusi-Fiorito ai Mose-Expo-Ferrovie, passando per gli innumerevoli scandali regionali) documentata da Trasparency International (secondo le ultime statistiche l’Italia è il Paese più corrotto d’Europa, con l’eccezione della Grecia!), la soffocante morsa delle cosche dei partiti su ogni anche minimo livello della società civile, quei partiti che hanno perso ogni capacità di elaborazione di pensiero per diventare semplici federazioni di centri di interesse, l’impressionante numero dei grandi dissesti finanziari, dei quali la Parmalat o l’MPS non sono che punte di iceberg, sono tutti indicatori che sicuramente autorizzano a parlare di declino nelle sue più fosche tinte.

Noi della generazione post-bellica, adolescenti in un Paese ancora con i segni dalla guerra, ancora autarchico, asfittico e arretrato, ci gettammo in uno studio forsennato e successivamente in un lavoro forsennato. Volevamo vincere per noi ed anche per il nostro Paese. Volevamo essere aperti, moderni e internazionali. Non volevamo più essere poveri! Ed invece, ci siamo solo versati addosso tanti insensati odi e veleni, ci siamo detti montagne di bugie da essere ormai incapaci di parlarci, di analizzare di discutere, di pensare seriamente.

Cosicché siamo diventati tristi, di una tristezza che non è affatto immotivata (oggi Mendelssohn o Čajkovskij non potrebbero più scrivere una Sinfonia o un Capriccio Italiano), in un Paese confuso, esasperato e pessimista al limite del grottesco, in cui quasi nulla appare con la sua vera faccia, un Paese oscuro anche a se stesso, un Paese in cui è probabilmente anche troppo tardi per cambiare solo formula politica per rimetterlo in carreggiata: sarebbe soltanto l’ennesimo imbroglio, anche se cambiare Governo e Parlamento, una specie di monstrum deprimente, servile, becchino, padreternistico, contraffattore e mistificatore, è comunque condizione necessaria ancorché non sufficiente per cambiare questa Italia, patria del diritto ma ora anche patria del rovescio, questa Italia distratta e qualsiasi, inabissatasi - e non per caso - nel baratro della sua quasi totale nullità. Né sarà sufficiente la retorica dell’antideclino, né dare “la caccia al ladro”, poiché mai come ora, per questa Italia, tragedia e farsa furono così vicine, mai questo popolo è stato così vicino alla categoria degli esseri idioti, mai così debole per essere creatore del proprio destino!

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:26