Ingiustizia è fatta!

Ah che bei tempi, un’Era fa, quando i partiti erano grandi ed era massimo il rispetto per le Istituzioni e la separazione dei poteri. In quell’epoca, che mai più tornerà, i procuratori generali della Repubblica si facevano ricevere, rispettosamente, con grande tatto e garbo, dai segretari dei partiti interessati, facendo loro un discorso felpato, del tipo: “Guardi, quel vostro personaggio politico, molto bene in vista, è destinato ad avere seri guai con la giustizia. Valutate un po’ voi...”. E, garbatamente, l'interessato di turno veniva posto con discrezione in un limbo, in attesa della decisione del giudice competente (rinvio a giudizio/archiviazione).

Oggi, invece, le istituzioni si combattono tutte tra di loro, impoverite ed immiserite - nelle loro fasce dirigenziali, alte e medie, della politica e della Pubblica amministrazione - dal devastante fenomeno a-meritocratico della promozione per semplice “comparaggio” politico, o per appartenenza a gruppi e clan con forte potere contrattuale. Anche qui: come non vedere, in questi ultimi trent’anni, gli effetti traumatici e destabilizzanti che hanno procurato al Sistema-Paese gli innesti dei raccomandati e dei fedelissimi nei posti chiave del potere!

Esiste la possibilità di innestare la marcia indietro? Sì e no. Per esempio: che fare, qualora il giudice ordinario si trovi nell’imbarazzante situazione di condurre indagini di rilevanza penale, nei confronti di una della più alte cariche dello Stato o del Governo? Davvero, in questo caso, il dettato costituzionale che impone l’uguaglianza di tutti i cittadini dinnanzi alla legge, vale anche per chi, al momento, che so, dell’invio di una comunicazione di garanzia, si trovi (è già successo!) in una sede internazionale di rilevanza mondiale, per assumere decisioni comuni con altri suoi pari, capi di Stato e di Governo? E questi ultimi come reagirebbero sapendo che il loro collega italiano, in realtà, non è più “credibile”, in quanto sottoposto a indagini giudiziali, o sta per finire sotto processo, inquisito da un magistrato ordinario in un procedimento che lo riguardi direttamente? E che dire se tutto questo investisse, parimenti, un grande leader politico impegnato in una delicata campagna elettorale? Ricordate la clamorosa vittoria di Ronald Reagan, che distrusse pubblicamente il suo avversario democratico con lo slogan “comprereste da quest’uomo un’auto usata?”. Si immagini, poi, quando certe indagini-killer siano avviate ad arte da un noto procuratore a caccia di facile fama...

Quindi, invece di inventarci ridicole riforme della Magistratura, signor ex sindaco di Firenze, non sarebbe meglio, almeno, provare a soffermarci su aspetti più squisitamente sistemici delle questioni? Tutti sappiamo benissimo, per consolidata esperienza, che occorre ormai uscire di corsa da queste sabbie mobili, dato che il mandato concesso dagli elettori al Governo di una determinata maggioranza politica da loro prescelta, non può essere “affondato” da un magistrato inquirente. Costituzionalmente, la Magistratura gode soltanto di un ordinamento autonomo (ovvero: l’Esecutivo non ha alcun potere di rimuovere, promuovere o cambiare incarico a un magistrato in servizio). Pertanto i suoi appartenenti non sono soggetti a scrutinio popolare, ma agiscono in base a procedure di legge che fanno riferimento a norme approvate dal Parlamento sovrano, composto dai delegati eletti a suffragio universale da tutti i cittadini italiani aventi diritto. Né però, d’altro canto, la politica può pensare di farsi legibus solutus, dandosi da sé patenti di immunità, come tentò di fare, tempo fa, con i “Lodi” Alfano-Schifani, bocciati (giustamente, a mio avviso!) dalla Corte Costituzionale! Né è pensabile che l’immunità sia concessa a vita o reiterata ad ogni mandato successivo, o per mutamento delle competenze costituzionali (ad esempio: passaggio da Presidente del Consiglio a Presidente della Repubblica! Putin docet!).

Ma nemmeno è concepibile che l’azione giudiziaria - verso una delle cariche suddette - venga portata a termine da qualunque procuratore che l’abbia avviata, a suo tempo, per competenza territoriale. Che fare, quindi? Ripeto qui, anche oggi, la mia proposta, contenuta in mio vecchio articolo del 2008 (pubblicato da L’Opinione, con il titolo: “Disparità di maltrattamento”), in cui tentavo di tenere assieme l’obbligatorietà dell’azione penale e la garanzia che il suo esercizio non fosse mai utilizzato strumentalmente per “azzoppare” una determinata leadership politica.

La ricetta da me suggerita era un po’ questa: va benissimo che l’azione penale inizi da qualsiasi parte -giurisdizionalmente parlando- del territorio italiano. Poi, però, gli atti istruttori iniziali, che riguardino alte cariche dello Stato e le leadership politiche, devono essere trasmessi ad un “panel” di giudici ordinari, estratti a sorte ogni tre anni, scegliendoli tra quelli che abbiano una esperienza minima - ad esempio, quindici anni di servizio attivo - e non siano stati assoggettati, in passato, nella loro carriera relativa, a censure dal Csm. Questo collegio speciale avrebbe la competenza esclusiva a completare - in via del tutto riservata - l’indagine avviata dal procuratore competente. Dopo di che, il fascicolo così istruito, o è archiviato con decisione riservata; ovvero, nel caso di insussistenza di un "fumus persecutionis", gli atti relativi sono trasmessi al giudice naturale, e dell’avvenuta trasmissione è data, contestualmente, notifica all’interessato. Punto. I media verranno debitamente informati della materia soltanto all’atto della apertura ufficiale del dibattimento.

Ora come allora ricordo ai magistrati che, in quanto dirigenti dello Stato, anche a loro compete il dovere di assoggettarsi alle verifiche del controllo di gestione, in termini di efficienza/efficacia dei risultati raggiunti, dell’economicità dell’azione intrapresa e dell’organizzazione degli uffici. Domanda: come intende, o si è già regolato, in merito, il Csm? Sapete perché mi viene il dubbio? Semplice, guardando al protagonismo di certi procuratori d’assalto, che utilizzano parecchi milioni di euro del contribuente per condurre inchieste che poi vengono regolarmente archiviate dai gip, o affondate da assoluzioni piene dalle giurisdizioni competenti, mi chiedo: “Ma davvero costoro non debbono risponderne pecuniariamente e/o essere penalizzati nel giudizio di merito dal proprio organo di autogoverno?”.

Ultima mia notazione: anch'io, come il noto psichiatra Alessandro Meluzzi, sono assolutamente d’accordo a rivedere in profondità la norma che fa del Pm un superpoliziotto! A mio avviso, invece, è di fondamentale importanza poter ripristinare le attività di micro-intelligence (quelle di una volta, del maresciallo dei carabinieri, che si muoveva in incognito nei quartieri popolari e tra la gente comune), per instillare insicurezza ai criminali, facendoli sentire continuamente sotto osservazione, da parte di qualcuno "legittimamente" armato e autorizzato, laddove necessario, all’uso della forza, in via preventiva.

L’Italia non è l’America: a noi non fa comodo, né appartiene alla nostra tradizione culturale il magistrato-detective. Le funzioni debbono tornare rigorosamente separate. Destra e sinistra: dove siete? Che cosa ne pensate? Buio totale, eh? Come sempre...

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:51