Alcune riflessioni sulle Unioni civili

La Commissione Giustizia del Senato (nella seduta n. 196 del 26 marzo 2015) ha approvato in sede referente il testo-base della relatrice, la senatrice Monica Cirinnà (Pd), che regolamenta le Unioni civili tra persone dello stesso sesso. La Commissione ha approvato il testo della Cirinnà con 14 voti favorevoli (Pd e M5s), 8 contrari (FI, Ncd, Lega) ed un astenuto (Ciro Falanga, FI).

L’approvazione del testo-base vorrebbe essere la prima tappa verso l’uguaglianza delle coppie gay e lesbiche con le coppie etero sessuali. Cioè, come ha detto il sen. Sergio Lo Giudiuce, si vuole “estendere il matrimonio alle coppie omosessuali”. È la prima volta che un organo parlamentare si è espresso in tal modo, con un voto. Il termine per la scadenza di eventuali emendamenti da parte dei gruppi parlamentari, al testo-base presentato, è stato fissato al 7 maggio prossimo.

Iniziamo con il precisare che cosa è un testo-base. Quando una Commissione Parlamentare decide di esaminare insieme più progetti di legge, vertenti sulla stessa materia, allo scopo di presentare all’Assemblea un’unica relazione e un solo testo, può scegliere per l’esame uno dei progetti già presentati, che è chiamato “testo-base”, oppure unificare i diversi progetti e redigere un “testo unificato”. In questo caso è stato scelto il testo-base. Questo testo-base è composto di due titoli: il primo si occupa di Unioni civili; il secondo disciplina la convivenza.

Si stabilisce che due persone dello stesso sesso possono costituire un’Unione civile mediante dichiarazione di fronte all’Ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. Potrà essere scelto uno dei due cognomi o potranno essere adottati entrambi. Presso gli uffici dello stato civile di ogni comune italiano deve essere istituito il registro delle Unioni civili tra persone dello stesso sesso. I matrimoni contratti all’estero e i matrimoni nei quali un coniuge abbia cambiato di sesso, potranno essere riconosciuti come Unioni civili.

Il ddl in questione, dunque, si propone di introdurre per le Unioni civili fra persone dello stesso sesso, un nuovo istituto giuridico, fondato sull’articolo 2 della Costituzione. Sono riconosciuti, cioè, quei diritti sociali oggi riservasti alle coppie eterosessuali unite in matrimonio, compresa la pensione di reversibilità. Rimangono precluse le adozioni, con l’unica eccezione della possibilità di adottare il figlio della partner (è l’istituto anglosassone Stepchild Adoption, letteralmente, “adozione del figliastro”). Si riconoscono, inoltre (è il titolo secondo del testo adottato), alle convivenze di fatto (eterosessuali od omosessuali che siano), che non intendono accedere ad un istituto giuridico, sia alcuni diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza (subentro nel contratto di affitto, assistenza in ospedale, mantenimento temporaneo dell’ex partner in difficoltà…), sia la possibilità di regolare i rapporti patrimoniali attraverso contratti di convivenza di fronte a un notaio.

Le due posizioni in campo

Dice il senatore Andrea Marcucci: “È il primo importante passo. Ora aspettiamo il via libera del Senato sulle Unioni civili entro fine maggio”. E così prosegue: “Il provvedimento ricalca il modello tedesco”.

Sul versante opposto, così si esprime la senatrice Federica Chiaravoli: “Siamo contro il testo-base Cirinna sulle Unioni civili perché di fatto le equipara al matrimonio. Per noi il matrimonio è solo quello tra un uomo e una donna. Ciò non esclude che siamo disponibili a discutere di Unioni civili, ma solo se sono cosa ben diversa dal matrimonio”. E il senatore Sacconi: “Per il compromesso repubblicano, che diede luogo alla nostra Costituzione, il matrimonio è collegato alla società naturale… mentre il testo Cirinnà estende il matrimonio alle coppie omosessuali”.

Su questa tematica servirebbe un dibattito serio ed approfondito. Più di quello avutosi in Commissione Giustizia del Senato. Premettiamo subito che non bisogna tirare in ballo argomentazioni di tipo religioso o questioni di fede, ma solo costatazioni di ordine naturale, di normali società, la cui valenza deve valere in ogni latitudine e per ogni soggetto, indipendentemente delle proprie adesioni personali. È per questo motivo che rigettiamo, fra l’altro, il “Religious Freedom Restoration Act”, approvato pochi giorni fa, in Usa, nello Stato dell’Indiana. Negli Stati Uniti, infatti, alcune ditte di catering specializzate in matrimoni si erano rifiutate di fornire i propri servizi a coppie gay, perché il loro culto religioso riconosce solo il matrimonio tra uomo e donna.

Noi vogliamo, invece, partire da altri presupposti e non ci limitiamo a domandarci solo, ad esempio, se è possibile che un bambino possa avere, naturalmente, due papà oppure due mamme? Noi intendiamo contribuire a questo dibattito, approfondendo la tematica in se stessa, con qualche riflessione, ma in maniera pacata.

Se non si hanno gli stessi doveri verso la società, non si possono ottenere da essa gli stessi diritti

Iniziamo con il premettere che i cittadini hanno il diritto di creare i rapporti che ritengono più opportuni per la loro vita e la loro crescita. Si può, certo, pensare che l’affetto reciproco e il prendersi cura l’uno dell’altro, di una coppia omosessuale, abbiano un riconoscimento e conferiscano alcuni diritti. Gli omosessuali, però, non possono pretendere di avere lo stesso tipo di riconoscimento giuridico e gli stessi diritti, di un’altra realtà, cioè il matrimonio eterosessuale, che è una realtà completamente diversa dalla loro.

Per esempio, il riconoscimento giuridico e i diritti che ne discendono, non possono essere identici a quelli che hanno coloro che dovranno anche occuparsi della prole nascitura. Le coppie eterosessuali hanno, a motivo della prole, maggiori oneri, da cui la società trarrà un beneficio futuro. Gli omosessuali, per definizione, invece, non hanno prole. Quindi hanno meno doveri e, per conseguenza, meno diritti.

Nel matrimonio fra coppie eterosessuali c’è anche dell’altro. Ci sono - certo - come per le coppie dello stesso sesso, le problematiche provenienti dalla “giustizia commutativa”, che si sostanziano nel benessere e nella gratificazione di due persone, cioè nel loro rapporto interno, senza benefici per il bene comune e senza che si contribuisca al perpetuarsi della società.

Ma vi sono anche i diritti provenienti dalla “giustizia distributiva”, cioè in base all’apporto che si dà al bene comune e allo sviluppo della società. La procreazione-educazione dei figli, infatti, è sorgente di vita e di benessere per la società, ed è da ciò che promanano gli ulteriori diritti. Quindi, sì al riconoscimento di alcuni diritti per le coppie omosessuali; ma non potranno mai essere gli stessi diritti uguali a quelli che derivano dal matrimonio.

Perché voler chiamare “matrimonio” il rapporto fra due omosessuali?

Perché le persone omosessuali pretendono, quasi, che il loro rapporto sia chiamato matrimonio? Se stiamo all’etimologia della parola “matrimonio” (cioè matris munio = rendere madre), il matrimonio è quello stato di vita in cui una donna diventa madre. E il rapporto affettivo tra due dello stesso sesso (per esempio, tra due uomini) non può realizzare mai questo fatto… di rendere madre.

Se poi passiamo al significato che viene dato dall’uso comune alla parola matrimonio, constatiamo che per matrimonio s’intende il rapporto affettivo tra un uomo e una donna, che si prendono cura l’uno dell’altro e che tendono a procreare. E tra due uomini, certo, ci può essere rapporto affettivo e cura reciproca, però non si può mai realizzare la procreazione.

E allora, perché denominare con un unico termine “matrimonio”, due realtà così diverse? Da alcuni è stato apportato questo esempio: si può pretendere di chiamare con il nome di “Barolo”, un’altra spremuta qualsiasi di uva, dicendo che entrambi sono vini e che non bisogna discriminare i vini fra di loro? Si creerebbe soltanto confusione. Lo stesso avverrebbe se il rapporto affettivo fra due dello stesso sesso e in cui l’uno si prende cura dell’altro, verrebbe chiamato matrimonio.

Per conseguenza, le persone omosessuali devono usare un’altra termine per indicare il loro rapporto, e non il termine “matrimonio”, che ha un’etimologia ben diversa e un contenuto, un significato, non applicabile a loro. È necessario, quindi, che le persone omosessuali facciano lo sforzo di trovare un altro termine per indicare il loro stato di vita.

Una coppia omosessuale costituisce una famiglia, al senso stretto del termine?

Partiamo, anche in questo caso, dal significato della parola “famiglia”. Anche se la concezione della famiglia muta con il tempo e con lo spazio, c’è, sempre ed ovunque, un elemento costante nella definizione di famiglia: è la coppia uomo-donna con figli (i latini vi comprendevano anche la servitù).

Per conseguenza, una coppia omosessuale (formata da due uomini o da due donne) non può chiamarsi una famiglia, perché, di sua natura, non può avere una prole propria. O ci si dovrebbe limitare a dire “coppia” oppure (come è stato detto per il termine “matrimonio”), bisogna adoperare un termine diverso.

Esaminiamo anche il coinvolgimento socio-culturale. L’arrivo di un figlio non crea soltanto una situazione nuova nell’uomo e nella donna che, da sposi, diventano genitori. Ma, l’arrivo di un figlio, dà origine anche ad una rete estesa e profonda di nuove relazioni parentali. I genitori degli sposi, diventano nonni; i fratelli e le sorelle dei genitori del nuovo nato, zii; i figli di questi fratelli e sorelle, cugini. Nascono e si sviluppano, così, nuovi legami.

Tutte queste persone sono legate da un nuovo rapporto di parentela che, molto spesso, soprattutto con gli anni, è fondamento di attenzione e di cura reciproca. Nella società familiare nascono, così, naturali gruppi di mutuo aiuto, che educano all’attenzione e al rispetto verso l’altro e che talvolta, come accade attualmente in questo periodo di crisi economica, possono dare anche supporto nelle difficoltà finanziarie.

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L’Italia ha già cercato di affrontare tutta questa tematica. Ma il tentativo precedentemente effettuato dal governo Prodi con i “Dico” (= diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi) non è andato in porto. Ora sembra che ci si avvii a una soluzione. Tuttavia non pare che, allo stato attuale, vi sia in corso una riflessione approfondita su queste problematiche. Da un lato sembra accettato da tutti il riconoscimento di alcuni diritti delle persone appartenenti alle coppie omosessuali; dall’altro, non si può affatto negare che matrimonio e unioni civili siano realtà diverse e che, sul piano giuridico, vanno diversamente affrontate.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:31