Il Paese dimenticato: idea per le Partite Iva

Non è un Paese per lavoratori autonomi. La storia delle partite Iva e del loro regime di trattamento economico e fiscale ne è una conferma plastica. Dapprima la formula del lavoro autonomo è stata utilizzata per tappare i buchi di un costo del lavoro insostenibile per le imprese riassumendosi in assunzioni di fatto in regime di partita Iva senza eque garanzie tra dipendenti a autonomi. Poi è arrivato il pasticciaccio brutto del governo con la triplicazione della tassazione, poi la parziale marcia indietro con il rinvio di un anno per l’innalzamento di questa alimentando quella confusione legislativa che caratterizza il mercato del lavoro italiano. Insieme a questo processo si è avuto il progressivo aumento della contribuzione obbligatoria Inps figlia della necessità fiscale di tenere insieme una spesa pensionistica insostenibile e figlia delle politiche irresponsabili degli ultimi trent’anni.

Questo blocco sociale eterogeneo rappresenta oggi il cuore pulsante sia dell’economia dei servizi, quanto quello delle professioni, del mondo editoriale e culturale. È insomma un tesoro da salvare garantendo condizioni fiscali favorevoli ed un trattamento economico-sociale dignitoso. Questi lavoratori che il governo Renzi colpisce triplicando la tassazione sono quelli che sopportano le maggiori difficoltà. Il provvedimento, infatti, non colpisce professionisti milionari ma coloro che hanno una dichiarazione lorda massimo pari a trentamila euro, a cui l’ultimo governo Berlusconi aveva dedicato un decreto, poi convertito in legge, per fissare al 5 per cento la tassazione.

Esiste dunque un pezzo di Paese a cui è mancata e continua a mancare rappresentanza sindacale e di conseguenza le difese nei confronti di politiche predatorie da parte dello Stato come quelle proposte dall’attuale esecutivo. Una buona idea è disegnare un quadro di proposte organico che non solo recuperi la tassazione al 5 per cento, ma si preoccupi anche della costruzione di una safety-net attraverso la creazione di un “Fondo Protezione Sociale Partite Iva”, un ammortizzatore sociale apposito che consenta una copertura economica relativa al periodo di malattia certificato, maternità e diritti garantiti alle altre categorie di lavoratori. Tale fondo potrebbe essere finanziato dall’abrogazione della Cassa integrazione in deroga, strumento di welfare superato ed inadatto a reinserire chi ha perso il lavoro nel mercato alimentando mercato nero, immobilità sociale ed iniquità generazionale che dovrebbero essere definitivamente estirpate dalla conformazione dello Stato sociale italiano.

Secondo gli ultimi dati divulgati dalla Cisl il valore di questa era arrivata a 240 milioni d’euro nel solo 2014, una cifra sufficiente a riequilibrare le tutele tra lavoratori dipendenti e autonomi, garantendo a questi ultimi che hanno una dichiarazione dei redditi lordi inferiori a 20mila euro delle protezioni giuridiche minime da destinare a momenti di difficoltà come maternità e malattia. Accanto a questo provvedimento sarebbe auspicabile anche una maggior tutela del loro futuro previdenziale liberando le partite Iva dell’obbligo contributivo Inps, oggi pari al 27 per cento del reddito dichiarato e di cui è previsto l’aumento al 29 per cento dal 2017, e lasciando ai professionisti la possibilità di scegliere come gestire i propri risparmi e la propria pensione.

Sarebbe opportuno, inoltre, potenziare le capacità di sviluppo magari creando un fondo di Garanzia presso il ministero dello Sviluppo economico o la Presidenza del Consiglio, tramite un accordo con l’Abi, per consentire ai possessori di partita Iva con un buon progetto di impresa di accedere all’accesso a prestiti bancari. Un’altra misura adottabile rapidamente è quella di modificare i programmi di Invitalia per inserire, tra le categorie beneficiarie dei fondi di finanziamento erogati, anche le partite Iva in regime dei minimi con età inferiore ai 35 anni.

La regolazione organica del fenomeno delle partite Iva garantirebbe non solo un attenzione fiscale ripristinata nei confronti degli autonomi, ma anche un riequilibrio di garanzie e protezione sociale a costo zero, cioè senza aumentare spesa pubblica o tasse ad altre categorie, che da troppo tempo alimentano le asimmetrie del mercato del lavoro italiano. Significherebbe, per concludere, assicurare ad una parte sostanziosa dello spaccato produttivo del Paese prospettive di crescita economica, emulsione di spirito imprenditoriale da parte delle nuove generazioni, rinnovata fiducia nelle istituzioni, uscita dal cono d’ombra della rappresentanza sindacale e politica.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:37