Contrada, dopo la Cedu riflessione sui diritti

Se noi dovessimo sottoporre ad un rigoroso scrutinio la decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sul caso Contrada verseremmo fiumi di inchiostro e, con grande probabilità, non renderemmo un buon servizio all'unica causa per la quale vale la pena di battersi: quella, appunto, dei diritti. Ho detto dei diritti, non di questo o di quel diritto; di questa o di quella persona. Le persone che non sono solite impegnare il loro tempo occupandosi di cose di giustizia hanno una percezione labile della Corte EDU, intesa come una sorta di Giudice superiore addetto a rimediare agli errori delle Corti nazionali o come il famoso, e troppo lontano Giudice di Berlino dal quale ci si attende la decisione davvero giusta. Purtroppo, la Corte EDU non è né questo, né quello. Non è, e ci tiene a farlo sapere, il quarto grado di un giudizio ormai esaurito e non è neppure la sentinella di coloro che hanno subito un torto. Le procedure di introduzione del giudizio, a partire dai termini da rispettare, inquinano di formalismi a volte eccessivi rivendicazioni fatte, invece, di sostanza. Inoltre, le decisioni, quand'anche favorevoli, giungono con ritardo e non risolvono alla radice i problemi riscontrati. Contrada, ad esempio, non verrà riabilitato in conseguenza della sentenza che ha destinato così tanto clamore.

La Corte ha detto che il condannato fu punito per avere violato una legge che, al momento del fatto, non esisteva ancora (non era elaborata in via definitiva) e per condotte che non poteva prevedere penalmente rilevanti. Risultato concreto: un modesto risarcimento economico che pagheranno i contribuenti italiani. Come al solito. Come quando, ad esempio, dopo la decisione che aveva condannato l'Italia per le inumane condizioni dei detenuti, il solito contribuente si è trovato a sborsare 8 euro per ogni giorno di quella sofferenza ingiustamente inflitta. E nonostante tutto, non dobbiamo essere pessimisti. Non del tutto, almeno.

La Corte EDU ha contribuito, a volte significativamente, al riscatto, alla protezione di quei diritti - non solo di questo o di quel diritto - giornalmente e progressivamente erosi. La Corte ci dice quali sono i punti dolenti del nostro sistema giudiziario e ci ricorda le ingiustizie patite dai più deboli. Sta a noi fare il resto. Il punto è questo: loro decidono, ma il sistema lo cambiamo noi, consolidando i confini di quei diritti che appartengono ad ogni essere umano. Anche ai reietti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:34