Il triste declino delle libertà

La trentacinquesima edizione del rapporto sulla libertà di stampa nel 2015, redatto dalla Freedom House, non lascia spazio a fraintendimenti. Il titolo anticipa con grande chiarezza quel che il lettore incontra più avanti: “Violenza e regole stringenti guidano il declino globale”.

Le condizioni dei media – e di coloro che vi lavorano, giornalisti in primis – hanno subìto un rapido e repentino deterioramento nel 2014. Ad aumentare in maniera incontrollata sono state le minacce (anche di morte) ai giornalisti e le restrizioni, da parte di alcuni governi, verso il libero flusso di informazioni. Solo il 14 per cento dell’intera popolazione mondiale può sostenere di vivere in un Paese libero in termini di libertà di stampa e di espressione… E questo dato non è certamente incoraggiante. L’anno appena trascorso non è stato solo una “brutta annata”, ma ha rappresentato la peggiore performance registrata negli ultimi dieci anni. A mostrare segnali positivi sono stati soltanto 8 Paesi, a fronte di deteriorate condizioni in ben 18 di essi. Sono aumentate le zone off-limits per i giornalisti, mentre i Paesi in cui la sicurezza della professione giornalistica è garantita, l’ingerenza governativa nei media è minima o non esistono particolari pressioni sulla stampa sembrano sempre più miraggi o isole felici.

A contribuire in modo determinante al disastroso quadro generale sono stati una serie di eventi che hanno rappresentato veri e propri giri di vite per la libertà di espressione. È sufficiente citare la Turchia, in cui il governo di Erdogan ha da tempo “messo le mani” sui media e dove anche l’accesso ad Internet è sempre a rischio di restrizioni, la Thailandia dove il regime militare istauratosi con un colpo di stato lo scorso maggio ha bloccato numerosi siti e imposto rigide restrizioni alla circolazione dei contenuti. E che dire dei 17 giornalisti uccisi in Siria? E delle criticità nei rapporti tra l’Egitto e il network qatarense Al Jaazera che ha portato all’arresto – e alla successiva condanna a 7 anni di reclusione – di 3 giornalisti impropriamente accusati di cospirazione ai danni dello Stato?

L’Italia in questo quadro non se la passa bene. Certo, nessun confronto rispetto alle situazioni sopra elencate, comunque un 65° posto su 199 Paesi censiti, ed un ranking di 31 punti associato all’etichetta di paese “parzialmente libero”. Le performance migliori sono state quelle dei Paesi scandinavi e del Belgio, che svettano in cima alla classifica. La scheda completa relativa al nostro Paese non è stata ancora pubblicata; in ogni caso quel che emerge è che la nostra povera Italia sia rimasta inchiodata in una posizione non esattamente commendevole vicino a Paesi come l’Ungheria, la Bulgaria, la Grecia, il Kosovo. Speriamo che questa vicinanza non faccia peggiorare la situazione, visto che da noi – almeno per adesso – le cose non sono così drammatiche come negli altri contesti. Quel che fa riflettere e desta non poca preoccupazione è la scarsa attenzione – spesso il totale disinteresse – verso queste tematiche, da parte dei media stessi così come dell’opinione pubblica.

A livello europeo, per il secondo anno, il Centro per il Pluralismo e le Libertà dei Media dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze sta conducendo un progetto di monitoraggio sul pluralismo che non offre facili soluzioni ma che si prefigge solo di segnalare, in modo chiaro ed inequivocabile, situazioni di rischio. Ci auguriamo, trattandosi di una iniziativa europea, che non diventi un’altra “vox clamantis in deserto”. Dobbiamo forse attendere di ritrovarci in un contesto alla Orwell di “1984” per scoprire che le libertà fondamentali vanno tutelate e che vivere in contesti in cui la stampa libera è stata messa a tacere è opprimente, oltre che deprimente?

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:22