Cancellato il reato di violenza privata

È dell’altro giorno la notizia che il reato di violenza privata rubricato all’articolo 610 del Codice penale è stato di fatto cancellato. Una norma può essere abrogata esplicitamente, modificata, come pure disapplicata, determinando un’abrogazione implicita.

Una potente psicologa forense, ben conosciuta nei Tribunali, civile e penale, dove svolge la sua lucrosa attività, forte di compartecipazioni di bottega, scambi di favori, in conflitto di interessi, la plastica forza connotativa del potere, si è macchiata di un crimine infame: ha torturato (ipotesi di reato: violenza privata) ripetutamente un bambino di 7 anni, con il tacito accordo di tutti i cortigiani di contorno, con l’omertà dei presenti al delitto, ma magicamente ha conquistato ben due archiviazioni. Misteri della giustizia o forse perché non è cognita la funzione di psicologo forense. Un giorno, se dovesse nascere un emulo di Freud, ci spiegheranno cosa significa essere psicologo forense, come dire ingegnere forense, medico forense, idraulico forense. Suonano i tamburi dei funzionari del pressappoco: la giustizia è uguale per tutti, dimenticando di aggiungere, salvo per i potenti.

La influente psicologa è stata nominata in un contenzioso tra separati consulente tecnico d’ufficio (Ctu) per “espletare ogni utile indagine sul minore e i suoi genitori e formulare osservazioni e valutazioni in merito alla personalità ed alla capacità genitoriale di entrambe le parti ed alla qualità del rapporto con il figlio. All’esito formulare le opportune osservazioni e valutazioni in ordine al miglior regime di affidamento e di collocamento del minore ed alle modalità di frequentazione del minore con il genitore non convivente, evidenziando i motivi che, nell’interesse del minore, giustificano l’inibizione o limitazione di tali rapporti o la regolamentazione suggerita”.

Niente di nuovo, il padre del minore plurindagato per violenze, maltrattamenti, stalking, aggressioni, percosse, ingiurie, molestie, perpetrate contro l’odiata ex moglie, autore di aggressioni fisiche sempre alla presenza del figlio minore, anche davanti alla scuola frequentata da quest’ultimo (a proposito di omertà, tutti hanno avuto paura di testimoniare, tranne una cittadina lettone), conduce una guerra spietata contro la mite madre, nonostante la separazione sia stata decisa da questo dominante padre-padrone negli anni 2000. Da notare che la causa è stata intentata dallo stesso padre del minore, non contento del risultato di un precedente giudizio dallo stesso avviato.

In sostanza, a prescindere dalle argomentazioni fantasiose dei suoi legali, le richieste che il violento oppressore rivolge al magistrato giudicante è sempre lo stesso: l’affido esclusivo del figlio, l’assegnazione della casa familiare, un assegno di mantenimento in suo favore ed in alternativa la collocazione del figlio in una casa famiglia (altro che centri per gli immigrati clandestini). Il danaroso persecutore non si è fatto sorprendere nel giudizio proposto e ha nominato come Ctp (consulente tecnico di parte) un’altra potentissima psicologa (cattedra universitaria), collega della nominata Ctu in molti corsi di formazione, commissioni, seminari di studio, workshop e tutto il variopinto universo dei dibattiti e delle tartine. Ma le capacità lobbistiche del padre richiedente giustizia sembrano non avere fine: si è scoperto che il suo difensore è anche il legale della nominata Ctu. Una camarilla in versione periferica per influenzare non esponenti politici di alto lignaggio, per l’assegnazione di appalti faraonici, per accedere ai contributi pubblici del mondo di mezzo, ma per annientare una indifesa mamma che tutela il suo bambino. E cosa ci combina l’esperta Ctu, che doveva soprattutto indagare sulle “modalità” di frequentazione del minore con il genitore non convivente (il padre), evidenziando i motivi che, nell’interesse del minore, giustificano l’inibizione o la limitazione di tali rapporti, nei pochi incontri svolti, appena una manciata di ore: intimorisce la madre del bambino con la sua prevalente autorevolezza, diagnosticando dopo il primo incontro (30 minuti) che la signora è confusa e ha bisogno di un supporto psicologico per poi agire indisturbata sul minore e conquistare la normalizzazione dei rapporti tra padre e figlio, frantumata dal primo in tre anni di maltrattamenti, violenze, vere e proprie torture (quelle psicologiche sono più devastanti di quelle fisiche).

La dotta psicologa forense fissa un incontro, convocando madre, padre e bambino, oltre le Ctp, e per oltre un’ora sottopone il piccolo ad una vera e propria tortura intimandogli di dover incontrare il padre, che si trovava nella stanza accanto “ansioso di riabbracciare il figlio”. Il bambino si dispera, piange per tutto il tempo, ripete implorante che non vuole vedere il padre (in quel momento, ovviamente, non è stato adeguatamente preparato). La Ctu impone più volte alla madre di obbligare il figlio ad intrattenersi con il padre, poi, vistasi persa e naufragato il suo prestigio di esperta psicologa forense, gioca un’ultima carta, interrompe la tortura, porta la madre del piccolo nella stanza accanto e la minaccia: “Se non obbliga suo figlio ad incontrare il padre, oggi qui ed ora, le tolgo il bambino e lo spedisco in una casa famiglia. L’epilogo è conseguente alla minaccia, il bambino piangente e triste viene obbligato a vedere il padre per un fugace incontro, che ha peggiorato il successivo rapporto, ma ha consentito alla psicologa forense di scrivere nella sua relazione che il padre nell’arco della perizia si è dimostrato collaborativo, “un facilitatore”, mentre la madre è stata ostativa, avendo con il figlio un negativo rapporto simbiotico, che impedisce al piccolo una crescita sana e normale ed inoltre è provato che è la madre ad appoggiarsi al figlio mentre dovrebbe essere il contrario. Fortunatamente è stato tutto registrato.

Eppure la psicologa forense non era stata così sprovveduta nel corso della perizia: aveva spedito i due genitori alla sua associazione di difesa dei bambini per iniziare la terapia, ovviamente simulando che la richiesta venisse dagli stessi interessati. La psicologa forense è stata denunciata, unitamente al padre, al suo difensore e alla Ctp, alla Procura della Repubblica per violenza privata, abuso d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, falsa perizia, frode processuale, minaccia. La denuncia querela, ampiamente documentata, è stata depositata il 20 dicembre 2013 ed il 3 gennaio 2014 è stata depositata una integrazione. Dopo 17 giorni (e poi si lamentano sulla lunghezza dei processi) il pm archivia tutto e tutti. Viene proposta opposizione alla archiviazione, fissata per il 26 gennaio 2015 l’udienza in Camera di Consiglio, depositata il 20 gennaio 2015 una memoria illustrativa. Il 17 aprile 2015 il gip archivia motivando che non si rileva un conflitto di interessi che possa aver danneggiato la madre del minore, in quanto la perizia della psicologa forense mantiene nell’affido condiviso la collocazione del figlio presso di lei, così come era stato stabilito nel verbale della separazione consensuale del 2011. Certo, se fosse stata rinviata a giudizio il prestigio nei Tribunali della psicologa forense sarebbe stato fortemente compromesso.

E la violenza privata e le molte ipotesi di reato indicate, che fine hanno fatto? La violenza subìta dal bambino è documentata dalla registrazione: si sente il pianto ininterrotto, la disperazione, il bambino che supplica, che implora clemenza. Niente! La Cassazione ci insegna che la configurazione del reato di violenza privata si verifica anche per un posteggio dell’auto in seconda fila che impedisce l’uscita dal parcheggio della vettura ostacolata, come pure prendere per un braccio una persona per insistere di volergli parlare. Il bambino torturato dalla psicologa forense resta senza giustizia, mentre il dibattito pubblico discetta sui principi e sulle regole, ricordando i fatti di Genova e la necessità di introdurre anche in Italia una legislazione sul reato di tortura. Hanno “gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero” le violenze della polizia e gli immotivati arresti di massa dei no-global inerti e innocenti, così ha tuonato la Cassazione nelle motivazioni del processo “Diaz” che ha decapitato i vertici della polizia.

La Cassazione evidenzia, come già fatto dalla Corte d’Appello di Genova, “l’odiosità del comportamento” dei vertici di comando. Un implicito invito al plauso, per le parole forti scolpite nella sentenza, che ha avuto un’eco amplificata nella opinione pubblica, meglio tra le folle, alimentate da una informazione taroccata che moltiplica il desiderio di illusioni, della quale le folle non possono fare a meno, allontanando l’ambizione alla verità, che non hanno mai provato, per dirla con Freud. Sarebbe una insufficiente consolazione sentire una parola, un commento critico da parte degli opinion makers nostrani e non, dei sultani delle trasmissioni di approfondimento, dei titolari di califfati dell’informazione, che alimentano il dibattito pubblico con esiti nefasti per la comprensione dei fenomeni, sulle torture che ha subito un bambino di 7 anni. Qualcuno dovrà pur segnalare che, in ampi ovattati saloni, in penombra, con drappi di broccato sulle poltrone e alle pareti grandissimi quadri dipinti, i cardinali del sapere giuridico, a voce bassa e con modi raffinati, non sempre decidono in favore delle sorti degli oppressi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:25