Prodi e le lacrime  di coccodrillo

Nell’intervista al Corriere della Sera dell’altro ieri, Romano Prodi parla di un’Europa che “… non ha più politica, né idee; ha solo regole, aritmetica” e di un patto di stabilità “stupido”. Tutto condivisibile. Non per niente andiamo ripetendo da tempo che questa Unione, agli effettivi bisogni delle sue comunità, abbia anteposto la cieca obbedienza a un insieme di formule matematiche. Come se la felicità dei popoli potesse scaturire da un algoritmo. Tuttavia, il signor Prodi, per un quinquennio, è stato presidente della Commissione europea. Ci chiediamo dove fosse quando a Bruxelles si prendevano le decisioni che ci hanno condotto al punto in cui siamo. Comodo tirarsene fuori per poi dire che “rischia di saltare tutto”.

No, caro signor Prodi, non se la può cavare a così buon mercato. Era chiaro da subito che la moneta unica nasceva assegnando un concreto vantaggio all’economia tedesca. E ora si accorge che l’asse di potere di quest’Europa si sia spostato da Bruxelles a Berlino? Nulla risulta che abbia fatto per impedirlo. Il patto di stabilità è stupido? È probabile, ma non ha mosso un dito nei suoi nove anni di Governo, tra l’Italia e l’Europa, per cambiarlo. Lei ci ricorda tanto quella tipa della canzone di de André che dispensava buoni consigli non potendo più dare il cattivo esempio. Piuttosto, oggi tutti gli occhi sono puntati sulla Grecia e sullo scontatissimo botto che farà il sistema di finanza pubblica di quel Paese.

A sentire Prodi, si sarebbe alla canna del gas per colpa di Tsipras e del suo ministro Varoufakis, per l’approccio da sbruffoni che avrebbero tenuto con i capi dell’Unione, in primis con il ministro delle finanze della Germania, Wolfgang Schäuble, il quale sarebbe troppo forte per essere preso in giro. Insomma, siamo sull’orlo della crisi dell’eurozona perché i greci non si sarebbero genuflessi a sufficienza al cospetto dei padroni di Berlino. Vi sembra un argomento accettabile? Ora capiamo perché l’Italia del centrosinistra abbia consolidato una lunga tradizione di questuanti, sempre con il cappello teso e la schiena piegata di fronte agli altri. E poi siamo così sicuri che la Grecia stia per saltare? A differenza del professore emiliano non pensiamo che Alexis Tsipras sia solo bluff.

È probabile che la spavalderia mostrata a Bruxelles nasconda qualcosa. Magari un asso nella manica che i burocrati dei conti-in-ordine non riescono a vedere. C’è una data importante nell’agenda di Tsipras: il prossimo 18 giugno. In quella giornata il leader greco sarà a San Pietroburgo dove potrebbe formalizzare l’adesione della Grecia alla Nuova Banca per lo Sviluppo, creata lo scorso anno dai cosiddetti Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). L’ingresso nel nuovo organismo finanziario di un Paese indebitato ma decisivo dal punto di vista della collocazione al centro del Mediterraneo, potrebbe far scattare un immediato piano d’intervento per arginarne l’emergenza determinata dalla crisi di liquidità. Se questo accadesse sarebbe la fine di molte cose ma non della Grecia.

Finirebbe il monopolio del Fondo Monetario Internazionale e della banca mondiale creato a Bretton Woods. Scomparirebbe ogni residua possibilità di trasformare l’Unione europea in un’entità politica reale. E salterebbe il muro di sanzioni messo in piedi per tentare di isolare la Russia dal contesto occidentale. Se fossero statisti avveduti, i leader europei eviterebbero di trattare i governanti greci con spocchiosa sufficienza. Se fossero saggi guarderebbero alla politica e alla tenuta degli equilibri strategici globali, piuttosto che fare la medesima faccia feroce degli usurai con un Paese che ha un Prodotto interno lordo grande quanto quello della provincia di Vicenza.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:31