Centri europei<br >per il diritto d’asilo

Sappiamo, e solo in parte, la disperata situazione degli esuli da guerre, carestie e oppressioni di vario tipo (politiche, razziali, religiose, ecc). Costoro, dopo aver attraversato mari e deserti in condizioni di “schiavitù”, aver subìto vessazioni indicibili, violenze e ruberie, giunti sulle sponde Sud del Mediterraneo vengono imbarcati su gommoni o vecchie “carrette” dei mari per giungere, se il mare non li inghiotte, sulle coste italiane, frontiera meridionale dell’Europa. Essi pagano migliaia di dollari per questo infame e pericoloso “servizio”, denaro che va ad impinguare le casse di organizzazioni criminali o terroristiche. La nostra coscienza di europei non può più accettare una simile, grossolana ed enorme violazione dei diritti umani, principio informatore della nostra stessa identità di cittadini d'Europa.

A parte ogni ovvia e doverosa riflessione sulle cause che determinano tali migrazioni, e sui comportamenti economici e politici dei Paesi dell'Occidente che ne sono non di rado alla radice, resta il problema di trovare soluzioni che siano consone ai principi da noi propugnati, sempre compatibilmente con le possibilità di “assorbimento” dei singoli Paesi. Per la sua collocazione geografica l’Italia meridionale è il naturale approdo di tali migrazioni, mentre certo non rappresenta la meta finale del viaggio di questi disperati. Inoltre, un comprensibile anche se non condivisibile egoismo spinge gli altri Paesi dell’Europa a “scaricare” sulle spalle dell’Italia l’intero peso di tali migrazioni.

Quali possono essere soluzioni che siano condivisibili dai Paesi della nostra Comunità ed al contempo abbiano requisiti di economicità e di conformità ai principi dei diritti umani? Dovremmo impegnarci tutti a disegnare un “sistema” di accoglienza che identifichi all’origine gli aventi diritto all’asilo politico, mentre altre considerazioni dovrebbero farsi per coloro che sono alla ricerca di un lavoro, e dei quali c’è comunque bisogno.

La “Direttiva 2001/51/CE del 28 giugno 2001”, che integra le disposizioni dell’articolo 26 della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985, sembra all’origine di certe situazioni intollerabili, quando afferma che i Paesi membri debbono predisporre un “dispositivo che fissi gli obblighi per i vettori che trasportano cittadini stranieri nel territorio degli Stati membri. Ai fini di una maggiore efficacia di tale obiettivo, occorrerebbe altresì armonizzare, per quanto possibile, le sanzioni pecuniarie attualmente previste dagli Stati membri in caso di violazione degli obblighi di controllo cui sono soggetti i vettori, tenendo conto delle differenze esistenti tra gli ordinamenti giuridici e le prassi degli Stati membri”. In parole povere, il vettore aereo che imbarca passeggeri sprovvisti di visto di entrata nel Paese di arrivo è tenuto, a proprie spese, a ricondurli all’aeroporto di partenza.

Questo, detto in altri termini, significa che il “diritto di asilo” viene vagliato, e solo negativamente, dal check-in della aviolinea invece che dalle apposite commissioni. Assistiamo al paradosso drammatico che persone che potrebbero recarsi nel Paese da loro scelto per richiedervi asilo spendendo poche centinaia di euro di biglietto aereo spendono migliaia di dollari, frutto di disperate economie della famiglia e del clan, per imbarcarsi su carrette del mare che non di rado naufragano annegandone a centinaia. Oltretutto finanziando cospicuamente organizzazioni criminali e/o terroristiche. Se il “profugo” potesse scegliere in partenza a quale dei paesi Ue chiedere asilo, potrebbe partire in aereo (magari con biglietto a/r, senza ledere gli interessi della linea aerea, e comunque ad una frazione del costo del barcone) dovrebbe trovare, in ognuno dei Paesi Ue un ufficio diritto d'asilo (con norme unificate e tempi ragionevoli) abilitato a vagliare la domanda e a concedere l’asilo; i “non-idonei” rientrerebbero col loro biglietto di ritorno già pagato.

Ovviamente non sarebbe semplice, in Paesi retti da dittature o in condizioni di guerra civile, accedere alle normali vie di trasporto aereo; ma certo le soluzioni possibili (partenza da Paesi vicini, ad esempio, o transito protetto attraverso le Ambasciate, come già fu in passato in Cile, Rwanda, ecc.) sarebbero tutte migliori dell’esodo per migliaia di chilometri costellato di vittime innocenti cui assistiamo attualmente. L’importante è che si prenda atto del fatto che la situazione attuale è assolutamente inaccettabile, e si cominci a discutere delle soluzioni possibili, escludendo ovviamente quelle di coloro i quali aizzano alle “guerre tra poveri”, al “ributtateli a mare”, e ad altre miserabili affermazioni tese soltanto a vellicare i più bassi istinti a scopi elettorali e di facile consenso politico. Per il problema invece dei migranti “economici” si dovranno trovare altre soluzioni, quali l’apertura di centri di formazione, selezione e reclutamento nei Paesi d’origine, coi quali possono essere aperte trattative bilaterali per la gestione e per l’eventuale rimpatrio dei cosiddetti clandestini.

In conclusione: bisogna ricercare soluzioni che tendano ad una gestione razionale del problema, che non facciano appello a viscerali superficialità e consentano di perseguire quelli che sono i reali obiettivi da raggiungere. Garantire l’accoglienza e l’asilo politico a quanti ne hanno diritto; rifornire il sistema-Europa della forza-lavoro che necessita e soprattutto fare sì che i diritti umani siano garantiti per tutti.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:13