Tra segreto di Stato e Diritto alla conoscenza

La Conferenza del 27 Luglio sull’“Universalità dei Diritti Umani per la transizione verso lo Stato di Diritto e l'affermazione del Diritto alla Conoscenza” organizzata dal Partito Radicale, Nessuno tocchi Caino e Non c’è Pace senza Giustizia affronta, tra le varie tematiche, il tema del segreto di stato. Un’analisi storica della materia aiuta a comprendere l’immensa portata di ciò che si va ad affrontare.

Dal 1848 al 1914 si assiste al passaggio statuale dal “liberalismo alla democrazia”: l’affermazione diffusa del principio secondo il quale la sovranità risiedeva nella cittadinanza. Le varie monarchie, con intensità maggiore nell’impero tedesco, nell’Austria-Ungheria e in Spagna, cercano di contenere il “potere della democrazia”, che va affermandosi, attraverso l’istituto della prerogativa regia. In ambito accademico e in Storia delle Istituzioni Politiche, l’istituto della prerogativa regia è quel complesso di norme e principi in base ai quali il supremo potere di comando spetta, all’interno di una monarchia, in ultima analisi al re. Ma, anche l’istituzione democratica conserva la sua prerogativa regia: “il segreto di stato” che non permette la piena realizzazione della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani. I regimi costituzionali, spesso, risultano essere “incompleti” nell’ambito delle materie militari e di politica estera.

Permane vivo il principio di un “segreto di stato” da mantenersi opportunamente celato alla cittadinanza e alle sue proiezioni parlamentari. Il “segreto di stato” alimenta quelle “prerogative sovrane” o “ragion di stato” che continuano a configurarsi come il presupposto concettuale di un potere di riserva e velato, circoscritto in tempo di pace, ma destinato ad accrescere il proprio ambito d’azione e di irradiazione in un contesto eccezionale, come quello della guerra o di particolari crisi economiche e politiche. Il diritto umano alla conoscenza può, universalmente, rappresentare il freno decisivo a tale irradiazione, circoscrivendo il perimetro d’azione del potere come “prerogativa regia”.

Alla metà degli anni Novanta, la Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite incaricò il giurista francese Louis Joinet di identificare un corpus di principi a cui gli stati si dovrebbero attenere per evitare che le violazioni dei diritti umani restino impunite. Joinet formulò una definizione di “right to know”: “il diritto alla conoscenza non è solo un diritto di ogni singola vittima o dei suoi congiunti di sapere cosa sia successo, un diritto alla verità. Il diritto alla conoscenza è anche un diritto collettivo che permette di trarre frutto dalla storia per impedire che violazioni dei diritti umani si verificano nuovamente in futuro”. Nel 2005, la Commissione Onu per i diritti umani ha elaborato un aggiornamento di questi principi sostenendo: “ogni popolo ha il diritto inalienabile di conoscere la verità su eventi passati concernerti l’esecuzione di crimini odiosi e sulle circostanze, e le ragioni che hanno portato, attraverso massicce e sistematiche violazioni a consumare tali crimini”. La formulazione dettagliata di un nuovo diritto umano: “il diritto umano alla conoscenza” rappresenta la proposta universalistica allo strapotere della ragion di stato a partire dalla parte “opaca” delle istituzioni democratiche.

Non si tratta di abolire il segreto di stato, attualmente impensabile da riscontrarsi e affermarsi, ma di riformulare in ambito internazionale tale prerogativa, permettendo ai cittadini di vivere in una democrazia rispettosa del diritto che consenta loro l’accesso alle informazioni sulle manovre dei governi che possono cambiare il corso della storia. La guerra in Iraq e la condanna a morte di Saddam ne rappresentano l’esempio.

Il segretario della Ong Nessuno Tocchi Caino Sergio D’Elia ha lanciato un appello in cui ha chiesto al governo italiano l’obiettivo più ambizioso della promozione di un’azione istituzionale volta a creare le condizioni politiche per una transizione verso la piena attuazione dello Stato di Diritto e dei Diritti Umani che veda, tra gli altri, l’Unione Europea e la Lega Araba attori attivi di questo processo. “Attivare questo processo costituirebbe l’alternativa ragionevole e concreta, a illusorie vie meramente diplomatiche o, peggio, militariste per far fronte alle continue e gravi emergenze in atto nel mondo. Per questo proponiamo ai massimi rappresentanti dello Stato italiano, dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio e ai Ministri degli Esteri e della Giustizia, non solo di condividere le ragioni e gli obiettivi della Conferenza, che sicuramente condividono, ma di compiere l’atto conseguente di convocarla e di sostenerla”. Sarebbe da scellerati non accogliere l’appello.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30