“Italiani per sbaglio”

“Italiani per sbaglio” è una nuova rubrica di Radio Radicale, che con una trasmissione al mese (ogni prima domenica), analizzerà, dibatterà e soprattutto farà conoscere, le personalità e le idee più originali e dimenticate della cultura liberale, socialista, federalista e libertaria del nostro paese. Protagonisti di tale lavoro culturale sono il Centro di studi storici, politici e sociali “Gaetano Salvemini” ed il Congresso mondiale per la libertà della e nella cultura. Tentiamo di capire meglio quali sono le motivazioni di questa immensa sfida, antica, ma sempre attuale, intervistando i conduttori della trasmissione, Valter Vecellio, presidente del Congresso mondiale per la libertà della e nella cultura e Gianmarco Pondrano Altavilla, direttore del Centro di studi storici, politici e sociali “Gaetano Salvemini”.

1) «Italiani per sbaglio» e «Ragion di stato contro stato di diritto» sono i cardini di conoscenza politica di una vertenza transnazionale che il mondo radicale e la cultura liberale cercano di far approfondire all’opinione pubblica. Ne spieghiamo le motivazioni e le aspettative?

Valter Vecellio: Gli Italiani per sbaglio sono quegli italiani che hanno il torto di aver ragione. Quelli che Gaetano Salvemini chiama «i pazzi melanconici»: un grande filone politico culturale che comprende Carlo Cattaneo, ma Pietro Verri, Tommaso Campanella, Cesare Beccaria, e più vicino a noi, lo stesso Salvemini, Antonio De Viti de Marco, i fratelli Nello e Carlo Rosselli, mi permetto di inserire Piero Gobetti, Ernesto Rossi, Mario Pannunzio, e mi fermo qui consapevole che potrei farne mille altri di nomi, da Aldo Capitini a Guido Calogero... e anche i radicali, quelli che erano negli anni Cinquanta; quelli che sono stati dopo e sono ancora, con Marco Pannella, figli diretti e legittimi degli altri. Questi sono forse più propriamente gli italiani «nonostante»: quelli che seppero essere antifascisti, anticomunisti, anticlericali insieme. Liberali, libertari, socialisti di quel socialismo fabiano di cui si parla poco, e che pure tanto ha ancora da dare: nonviolenti per metodo, antimilitaristi, antinazionalisti, federalisti di quel federalismo che si è realizzato negli Stati Uniti e in Svizzera... Quel tipo di italiani forse isolati, ma non soli, privati del diritto di poter comunicare e di poter essere giudicati per quello che dicono, fanno, hanno detto, vogliono fare. Quello strano tipo di persone che Leonardo Sciascia definì – parlava specificatamente di Marco Pannella – «il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia». Ecco, forse questo si può dire: che come Congresso vogliamo avere, coltivare, nutrire il senso del diritto, della legge, della giustizia. Del diritto al diritto.

2) La cultura liberale e liberalsocialista di questo paese è sempre stata di minoranza, soprattutto se analizziamo contesti politici caratterizzati da «estremismi» vecchi e nuovi. La ragione del diritto, della libertà e della democrazia sono i fari cardine di molte delle idee dei protagonisti che verranno trattati dalla rubrica. Quale reazione aspettarsi dal mondo culturale e accademico?

Gianmarco Pondrano Altavilla: A rigor di logica, più che altro indifferenza. Nel migliore dei casi qualche reazione di ostilità (sarebbe sempre una dimostrazione di interesse). Debbo dire, però, che il «fronte liberale», anche e soprattutto nel mondo lato della cultura ed in quello più ristretto dell’accademia, è più vasto di quanto si possa pensare. Certo le moltissime divisioni interne, l’indiscutibile predominio nel Paese della mentalità illiberale, così come il difetto di coordinamento tra i diversi soggetti di questa «galassia liberale», gli impediscono il più delle volte di agire con l’impatto, anche mediatico, che potenzialmente, unita, potrebbe ottenere. Ciononostante è lì ed è pronta a rispondere ad iniziative come «Italiani per sbaglio», con partecipazione e dibattito (anche acceso). Prova ne saranno gli interventi che, dalla prossima puntata dedicata a De Viti De Marco, molti docenti ed esperti che fanno capo a questo «fiume carsico» liberal-libertario faranno in trasmissione.

3) La trasmissione è tra le prime iniziative del Congresso mondiale per la libertà della e nella cultura. Quale sarà il faro guida della struttura nel rafforzamento dello stato democratico federalista e laico?

Valter Vecellio: «Informazione e conoscenza», potrebbe essere una sorta di motto. Anche se viviamo un tempo in cui disponiamo di un «pieno» di informazione e di uno straordinario deficit di conoscenza. Siamo letteralmente sommersi da informazioni, o di quello che crediamo siano informazioni. Poi, in realtà, sappiamo ben poco; siamo messi nella condizione di conoscere molto poco. Nessuna tentazione o vocazione dietrologica, anzi è quasi sempre bene scarnificare, eliminare il superfluo, puntare sull’essenza. Ma c’è qualcuno che possa ragionevolmente sostenere che non esiste un potere reale al di là, al di sopra del potere che appare, e che lo condiziona, lo influenza, lo tele-guida? Un grande scrittore anglosassone, Chesterton, quando faceva il giornalista si atteneva a una specie di regola: cercare il buono del cattivo, il bello del brutto; e diceva che con questo «metodo» riusciva quasi sempre a cogliere la carne delle questioni. Cercheremo di applicare questo «metodo».

4) Il 27 luglio presso il Senato della Repubblica si è svolta la Seconda Conferenza Internazionale Universalità dei Diritti Umani per la transizione verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza, organizzata dal Partito Radicale assieme a Nessuno Tocchi Caino e Non c’è Pace senza Giustizia, patrocinata dal Ministero degli Affari Esteri italiano. Un lavoro che si tenta di portare avanti con il sostegno e il contributo organizzativo del mondo culturale e accademico interessato alla tematica. Come guarda a tale proposta transnazionale e quale significativo contributo potrebbe fornire il Congresso mondiale per la libertà della e nella cultura?

Valter Vecellio: La proposta scaturita dalla Seconda Conferenza Internazionale cui lei fa cenno, per quel che mi riguarda è la proposta politica e culturale del nostro tempo. Parlo al singolare quasi certo che si possa parlare anche al plurale: con quanti ne ho avuto occasione di parlare, ho trovato piena e totale concordanza e adesione. Però non intendo tirare nessuno per la giacchetta. Quanto al contributo: sviluppare questo tipo di tematica, suscitando dibattito e riflessione, confronto e analisi. Già «solo» questo sarebbe un vasto programma, per dirla alla De Gaulle. Non solo vasto, anche ambizioso. Ci proveremo, comunque. In queste settimane, parlando e incontrando una quantità di persone che non necessariamente sono d’accordo in tutto (sai che noia, in questo caso!), ma in comune hanno la passione per l’indipendenza del pensiero e la libertà della ricerca, ecco, di una cosa mi sono reso conto: che siamo forse isolati, ma non soli, come accennava Gianmarco. E anzi, siamo perfino di più di quanto «loro», gli «altri» pensino si sia. Ecco, accorciare le distanze di questi “isolamenti” già sarebbe un ottimo risultato. Del resto: Ernesto Rossi e Altiero Spinelli «isolati» nel confino di Ventotene, concepivano gli «Stati Uniti d’Europa»; e quasi contemporaneamente e indipendentemente a Zurigo, la stessa cosa la faceva Ignazio Silone; e esiliato negli Stati Uniti Giuseppe Antonio Borgese, uno dei tredici che non giurò la fedeltà al regime fascista…Isolati, ma meno soli di quanto si poteva credere, appunto.

5) Punto cardine della vertenza radicale «per la transizione verso lo Stato di Diritto» è la formulazione in ambito Onu di un nuovo diritto umano: «il diritto alla conoscenza». La «conoscenza» dei cittadini sulle scelte dei governi riguardanti la politica estera e la sicurezza risulta essere una delle problematiche più urgenti della contemporaneità. Il diritto umano alla conoscenza è innanzitutto una battaglia giuridico culturale da affermare contro chi fa della ragion di stato la propria visione politica. Come incidere, a partire dalla cultura, all’affermazione della conoscenza come diritto umano universale riconosciuto e codificato?

Valter Vecellio: Il diritto umano alla conoscenza va conquistato, difeso una volta che viene riconosciuto; perfezionato là dove è già operante. Avere per esempio nel nostro Paese le normative in vigore negli Stati Uniti relative al Freedom of Information Act, sarebbe già un bel passo in avanti. Per quel che riguarda l’Italia, va letteralmente costruito tutto. Si pensi che le informazioni contenute nell’archivio dell’Arma dei Carabinieri, tanto per dirne una, sono inaccessibili. Non chiedo documenti di ieri, o di dieci, venti anni fa. Ma quelli precedenti alla prima guerra mondiale, si potrebbero/dovrebbero avere, si dovrebbe avere il diritto e la possibilità di studiarli. O no? Ecco, chi governa, chi detiene un potere, proprio per questo dovrebbe essere sottoposto al controllo democratico di un’opinione pubblica. Un diritto regolato, normato, perché non c’è dubbio che ci sono cose che vanno tenute riservate per un più o meno lungo arco di tempo. Ma l’inaccessibilità della conoscenza reale, come principio, questo è inaccettabile; personalmente ammetto perfino che ci siano ragioni di Stato. Ma di queste ragioni, a un certo punto occorre avere cognizione e conoscenza. Sapere è potere. E’, in fondo, qualcosa di egoistico: come antidoto agli abusi e alle arroganze del potere il massimo di sapere e consapevole conoscenza. Cominciamo a sancire il principio; poi codificheremo tempi e modi.

6) Benedetto Croce non scrisse la storia del fascismo e su tale scelta gli furono mosse innumerevoli critiche; in molti misero in discussione lo svolgimento della sua opera di storico. Croce non scrisse del fascismo perché: «il compito che mi toccò allora fu non di fare la storia del regime fascista ma di aborrirlo e, con quel tanto d’intelligenza e di animo che possedevo, contrastarlo dal canto mio e indebolirlo». Il Congresso mondiale per la libertà della e nella cultura inserisce la propria azione in tale visione pragmatica di condotta politico culturale?

Gianmarco Pondrano Altavilla: La domanda che Lei pone, rimanda ad un tema assai complesso come quello della condotta di un uomo che si assume libero e desidera difendere la libertà degli altri, in tempo di autocrazia e dittatura. Bisogna offrire immediata testimonianza di coerenza ideale, a rischio di sacrificare vita ed affetti? (penso, per citare solo alcuni «Italiani per sbaglio», ai fratelli Rosselli, ma anche a Piero Gobetti ed Eugenio Colorni, e a tanti altri) Oppure bisogna sfruttare le proprie posizioni all’interno del Regime, offrendo magari anche un ossequio di facciata, o comunque una «non belligeranza», per poi colpire con maggior efficacia, nel tempo? (Croce non solo non scrisse allora la storia del fascismo - a differenza, ad esempio di Salvemini - ma suggerì ai suoi amici più cari, professori universitari di sottomettersi al giuramento di fedeltà, per continuare la propria opera di insegnamento). Francamente non Le so dare una risposta. Ed immagino che solo il trovarsi in quella particolare situazione consentirebbe ad ognuno di fare i conti con la propria coscienza. Per l’oggi, come socio del Congresso, ritengo che il suo compito sia la testimonianza attiva di una idea differente di cultura: inclusiva e non escludente; di confronto e non di armonia, aperta ed interessata al diverso ed alle diversità, nella convinzione che l’altro e gli altri (con le loro storie, esperienze ed idee) rappresentino una ricchezza. Ed aggiungerei, ricordando Ernesto Rossi e la sua ispirazione volteriana, che una tale missione sarà tanto più efficace quanto più il Congresso si metterà al fianco delle posizioni che non hanno voce, delle conoscenze, come quelle scientifiche, che non riescono a far breccia nella coscienza popolare, di quelle posizioni, che - seppur dichiaratamente ostili e lontane dai principi ispiratori del Congresso - tendono ad essere emarginate, in nome di un falso liberalismo (pensi al caso delle cosiddette «Sentinelle in piedi»).

7) La critica ai diritti umani universali da parte del relativismo culturale e dei diritti è dibattito contemporaneo tra accademici e cultori giuridici. La formulazione di nuovi diritti umani presuppone una visione universalistica dei diritti dell’uomo. Come rispondere a chi guarda con sospetto tale approccio, tacciandolo di «neo-colonialismo giuridico»?

Gianmarco Pondrano Altavilla: Non si può negare che la teoria dei diritti umani, per come si è andata affermando negli ultimi secoli, è figlia della corrente giusnaturalistica occidentale. Un’esperienza sicuramente estranea a moltissime culture, che, a ragione, potrebbero percepirne la diffusione - in certi casi l’imposizione - come una forma di «neo-colonialismo giuridico». Il punto, però sta in questo ragionamento: ammessa la difficoltà dell’uomo, di qualsiasi uomo, a pervenire alla Verità (con la maiuscola), e date quindi una molteplicità di verità relative e parziali; posta allo stesso tempo la convinzione che l’uomo trovi la propria dignità nella ricerca di questa Verità e nella crescita morale che ne deriva: quali sono gli strumenti politici, economici, giuridici che, allo stato delle nostre conoscenze, tendenzialmente, ci consentono di favorire tale ricerca? Personalmente ritengo, che il sistema dei diritti umani, appunto, non sia lo strumento, ma sia un buon strumento che ha dato ottima prova di sè nel passato nel preservare la diversità e quindi nell’aiutarci tutti a fare un passo in avanti nel nostro percorso di consapevolezza, nel nostro diventare sempre più «umani».

8) La rubrica è partita con Cattaneo e il federalismo. Pannella ricorda spesso la visione federalista, e non separatista o secessionista, del Dalai Lama per la libertà di tutte le «Cine». Il federalismo è democrazia poiché la divisione e la diffusione dei poteri è una caratterista fondamentale del federalismo. Senza voler ripetere ciò che è stato detto e ribadito durante la prima puntata della Rubrica (riascoltabile sul sito di Radio Radicale) cosa dovremmo recuperare di Cattaneo per la prospettiva italiana e per quella europea?

Gianmarco Pondrano Altavilla: Direi soprattutto l’entusiasmo per l’essere umano. Sembrerà paradossale in un tempo di egoismi, quanto sto per dire, ma noi siamo davvero poco entusiasti del nostro essere. Non mi riferisco, ovviamente al nostro essere contingente, a quello che ognuno di noi è al momento, quanto a quello che è stato affidato in potenza, in termini di creatività, di slancio ideale, di ragione ad ogni individuo. Quel ritratto di Shakespeare che ci voleva «nell’ azione, simili ad angeli, nel pensiero simili a Dei», lo abbiamo perduto per chiuderci nei nostri pur essenziali bisogni quotidiani, atterriti dalle mille paure, reali ed indotte del nostro tempo. Ecco, Cattaneo, sicuramente senza il lirismo di Shakespeare, ma con praticità e convinzione ci richiama ad un compito superiore, fatto di conoscenza, di arricchimento reciproco, di ricerca, di studio. Di meraviglia per la natura e per gli uomini, che non si ferma alla contemplazione, ma osa, con la volontà e la ragione, di andare oltre il velo del mistero. Sarebbe l’uomo che ci spronerebbe a girare per scoprire nuovi luoghi e nuove persone, a cercare di comprenderle a fondo e a ritrasmettere quanto abbiamo imparato, in una giostra di mutamento e reciproco scambio che possa abbracciare tutto il globo. Lui non aveva gli strumenti tecnici che abbiamo noi, eppure riuscì a tessere una rete di sapere che abbracciava l’Europa. Il suo esempio e le nostre possibilità ci sfidano, ci impongono di fare molto meglio.

 

(*) Centro studi Gaetano Salvemini

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:35