Da Giorgio a Giorgia

Ancora sono presenti sui muri delle strade romane, tra improvvisi acquazzoni e ritorni di sole, i manifesti con il faccione di Giorgio Almirante per la celebrazione alla Camera del centenario della nascita del fondatore ed ex segretario del Movimento Sociale Italiano. Senza presenza su media, educazione e cultura, da decenni la destra ricorre allo strumento antico del manifesto murale, il tazebao del ’68.

E la sinistra di governo la rincorre perseguendo l’illiceità delle affissioni. Cambiamenti del tempo. Quando Almirante inventò l’Msi, ordine, disciplina, carabinieri e giudici si coniugavano a destra. A sinistra, come ricorda De Andrè, c’era la pessima fama della cattiva strada di ladri, ubriaconi, prostitute e bestemmiatori. Da decenni è vero il contrario. Se oggi un ragazzo perbene e perbenista, di buona famiglia, dai capelli corti con la barba di due giorni, come consigliato dalla mamma, dovesse, contro la sua indole, per i casi della vita, scegliere un partito, non avrebbe dubbi a iscriversi al Partito democratico (nonancoramaquasicristiano).

Droite, right, recht nella politica europea significano soprattutto conservazione dell’ordine costituito. Volerle attribuire il monopolio del nazionalismo è cosa vana: dal voto dei socialdemocratici tedeschi per i prestiti di guerra imperiali all’identificazione dei socialisti francesi delle frontiere francesi con quelle della libertà, anche la sinistra europea è stata nazionalista. Se Matteo Renzi è destro, grandi problemi per la destra originale.

Il successo dell’Anno almirantiano delle Fondazioni An e Giorgio Almirante è misurabile soprattutto dalle decine e decine di missive inviate alle istituzioni locali dai comitati dell’Associazione Partigiani, che dovunque hanno ribadito la netta posizione contraria al coinvolgimento della Città di xxx, Medaglia d’Oro della Resistenza nella celebrazione di parte, di un personaggio compromesso per il suo passato di fascista sempre rivendicato. I nipoti dei partigiani, presunti e no, gestori della memoria della guerra civile italiana, che conoscono solo grazie ai film neorealisti, sono rimasti frustrati malgrado si sgolassero a ripetere tante cose vere. Che Almirante scriveva su “La difesa della razza”, che fu capogabinetto del ministro della Cultura repubblichino Ferdinando Mezzasoma, che lottò contro i partigiani, che fondò un partito erede della mussoliniana Repubblica Sociale, contrario alla Costituzione e che non si dissociò mai dal suo passato fascista.

Nessuno però ha badato alle accuse, semplicemente per non vedervi alcun male. Altro segno dei cambiamenti del tempo. Molti, mai stati fascisti in vita loro, di altri partiti o di nessuna fazione, si sono recati agli appuntamenti, mossi dalla curiosità per una cosa tanto rara quanto la coerenza delle idee. Il successo però è stato determinato dall’afflusso di tutto il centrodestra, anche di quello che un tempo cambiava marciapiede alla vista di Giorgio e Donna Assunta.

La diaspora di militanti e onorevoli in partiti diversi, nel litigio attorno alle vestigia della Fondazione Alleanza Nazionale, fa struggere tutto l’arco destro partitico. La relativa battaglia all’Hotel Midas per il simbolo An, partito erede di quello almirantiano, tra i quarantenni dell’ex sindaco Gianni Alemanno, gli ex colonnelli missini oggi forzisti, i nascosti ex Futuro e Libertà finiani ed i Fratelli d’Italia della Meloni, ha visto alla fine ai voti la vittoria della piccola peste bionda. Ed oggi Giorgia Meloni ha un partito identico all’Msi di Giorgio Almirante; identico per voti, insediamento territoriale, magari con l’onestismo al posto del nostalgismo. I presidenti Mattarella e Berlusconi nei saluti hanno voluto attribuire per testimonianza affettiva ad Almirante grandi capacità di dialogo e confronto. In realtà il Giorgio del dopoguerra, esiliato per apologia, non poteva essere uomo di compromesso in tempi di effettiva caccia al fascista. Destituito dalla segreteria del Movimento sociale italiano fino al 1969, finché la destra italiana contò sulla Chiesa, rimasta identica agli anni del regime, trovò il suo climax nello scontro delle estreme degli anni della contestazione.

La Meloni ama essere pura e dura ed è cresciuta in una destra pentita delle sue origini, che ha sostituito l’onestismo al nazionalismo. Tirò le monetine ai tempi di Mani Pulite a Bettino Craxi, ieri trionfatore in quell’Hotel Midas dove oggi Giorgia ha vinto lasciando ferite che non cicatrizzeranno in fretta. Tra cui il mito dell’ex leader del Psi, che tutt’oggi unisce larga parte della destra, dai forzisti ad Alemanno, in nome dell’anticomunismo. L’Msi di Giorgio Almirante esisteva, malgrado le scomuniche, solo grazie ai voti - uno-due milioni - degli italiani che preferivano il partito di Mussolini. Data la repressione palese e no delle opinioni, rappresentavano in nuce il doppio, che poi sarà il risultato di Alleanza Nazionale.

Oggi il Fdi-An di Giorgia Meloni raccoglie un milione di consensi. Non ha una guerra fredda ideologica internazionale dove inserire l’eterna guerra civile interna. Non è l’unica nella rappresentanza degli onesti che amano vedere in galera gli imprenditori non di sinistra. Non può alzare il tricolore amato anche a sinistra. Se bercia troppo contro la finanza finisce nel partito dei centri sociali. L’unica con l’ideologo Veneziani, è riconoscere la peculiarità della destra italiana. Un po’ esaltazione nazionalista risorgimentale ed un po’ eresia nazionale del socialismo. Il welfare che, calcolò il liberale Renzo De Felice, produsse ottimi risultati per il tenore di vita popolare. A cosa servirebbe mai un nuovo Msi? Molti hanno annaspato mitizzando modernità e preveggenze del Giorgio. Eppure i postfascisti hanno una missione: far riconoscere che l’antifascismo è stato una cappa politica e culturale, un ritorno ai secoli della decadenza, la morte del Risorgimento. E estenderne, oltre il nascosto convincimento, la palese diffusione in tutto il centrodestra, questa è un’eredità di Giorgio Almirante che passa anche attraverso molti nomi dell’ultimo cinquantennio. Un’eredità non pentita che non teme la cattiva strada.

 

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:59