Stato emergenziale e democrazia al collasso: la sfida Radicale

In queste giornate di terrore, sgomento e spaesamento in cui sembra che l’unica strada per fronteggiare e contrastare il fenomeno della follia omicida dell’estremismo islamista sia quella, come sta facendo la Francia, di proclamare lo stato di emergenza che segua esclusivamente logiche securitarie ed emergenzialiste, il Partito Radicale non poteva che cercare di far sentire una volta di più la sua voce. Lo ha fatto con la interessantissima conferenza stampa intitolata “Stato di emergenza? Stato di diritto!” svoltasi nella sede di Torre Argentina con la consueta modalità indagatrice ed interlocutoria di una pattuglia che non rinuncia a scrutare possibili vie alternative mentre testimonia i dati e lo stato di erosione democratica sullo scacchiere internazionale, ma soprattutto nazionale.

È infatti, come introdotto da Maurizio Turco, “a seguito delle risposte della Francia e dalla Russia che come unica alternativa al terrorismo propongono lo stato di emergenza ed al fatto che si si comincia a parlare di reintroduzione della pena di morte”, che ha preso il via l’incontro in cui si è parlato dello stato crescente di illegalità europea dell’Italia (che si conferma ai primi posti per violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come anche a livello Onu e pure nei confronti delle norme internazionali) e della necessità di rinvigorire la lotta, intrapresa da Marco Pannella in occasione della guerra in Iraq per salvare Saddam dalla pena di morte, per lo stato di diritto a livello internazionale ma soprattutto di far rientrare il nostro paese nella legalità costituzionale.

Proprio per affiancare alle pur indispensabili operazioni di prevenzione e di controllo cui ogni Paese europeo sta provvedendo con il rafforzamento dei pattugliamenti delle aree e degli obiettivi sensibili a rischio, sembra che ancora una volta si muova l’azione dei Radicali. Un tentativo estremo di riaffermare quell’esercizio del raziocinio che, libero da strumentalizzazioni di sorta delle paure diffuse e crescenti, rinforzi la battaglia per lo stato di diritto. Come? Una volta di più attraverso un’azione di sensibilizzazione che ripropone l’urgenza di un impegno affinché l’Italia rientri nella legalità costituzionale, nazionale, europea ed internazionale. Attraverso tre sacrosante battaglie: quella da tempo condotta dai Radicali, per il completamento del plenum della Corte costituzionale, da un anno e mezzo privata del plenum costituzionale, per l’uscita del Paese dallo stato perenne di violazione nei confronti della Convenzione dei Diritti dell’Uomo e del Diritto Comunitario e la battaglia per favorire la candidatura dell’Italia a membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ponendola a guida del processo per la transizione verso lo Stato di Diritto ed il diritto alla conoscenza come risposta alternativa alla linea emergenziale che si sta affermando come unico argine alla sequela di tragici avvenimenti destinati a seguitare ad infiammare l’Europa e gli scacchieri geopolitici attualmente più caldi, come anche a breve in quegli Stati dove ancora non c’è emergenza ma, come ha spiegato Sergio D’Elia, dove l’emergenza potrebbe presto deflagrare. Da Israele al Kurdistan, e poi la Giordania, la Tunisia, il Niger, la Nigeria, la Somalia. Il rischio è ovviamente sempre quello che in nome della sicurezza si normalizzi l’emergenzialità e l’eccezionalità dei provvedimenti, compromettendo l’andamento democratico della vita di ogni Paese. Una lacuna, un vulnus del diritto che, oltre a determinare una condizione extragiudiziaria, comprometterebbe i princìpi democratici a fondamento dei partner europei. A questo quadro è legato il terzo obiettivo dei Radicali, quello dell’affermazione del diritto alla conoscenza che della consapevolezza del diritto e dei diritti e della loro costante violazione rappresenta la fonte primaria. Ma costantemente negata ai cittadini. A partire dal servizio pubblico e privato radiotelevisivo, ove da troppo tempo impera una regolare violazione di qualsiasi, anche minimo, pluralismo che consenta a chiunque di sapere per poter comprendere, orientarsi e decidere con consapevolezza sulle emergenze o questioni che investono l’attualità delle nostre vite e le modalità di rapportarsi ad un’emergenza come quella della furia omicida del radicalismo islamico, senza condizionamenti troppo spesso guidati dalle scelte populiste dei media e dei settori maggioritari delle forze politiche.

Sul fronte dell’emergenza Corte costituzionale, il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick ha ribadito la pericolosità dell’attuale situazione proprio in un momento in cui il nostro Paese le riforme istituzionali e l’emergenza jihadista richiedono che il massimo organo di garanzia dello Stato sia al pieno delle sue forze e sia legittimato proprio grazie al completamento di quella componente parlamentare che attualmente, al di sotto del dovuto, crea squilibrio nel suo funzionamento. Non a caso Rita Bernardini, sul solco delle parole di Flick, ha ricordato che la Fini-Giovanardi è stata in vigore per nove anni prima del pronunciamento di incostituzionalità. Ma di questa consapevolezza sull’importanza della Consulta i cittadini vengono privati da un’informazione a dir poco parziale e che lede il diritto alla conoscenza. Della necessità di una visione strategica e dei profondi rischi e pericoli sul piano dei diritti costituzionali legati alla visione della sicurezza come principale valore di un Paese ed insiti nelle misure di emergenza e al progetto di riforma della costituzione francese e dell’importanza che l’opinione pubblica debba poter accedere all’informazione sulla situazione delle proprie libertà e sicurezza ha parlato l’ambasciatore ed ex ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata. Folle e preoccupante per la sensibilità europea, secondo Terzi, privilegiare la reazione immediata militare e l’azione indiscriminata nei confronti di interi centri urbani o settori di popolazione, cioè che contro criminali che invocano la religione per compiere efferatezze e stragi ricorrendo ai medesimi mezzi di repressione. Sempre sul piano internazionale, Matteo Angioli ha parlato del percorso di riflessione comune sullo scontro tra ragion di Stato e Stato di diritto confluita in un documento prima presentato a Bruxelles, poi al Consiglio dell’Onu dei diritti umani, alla Camera dei Comuni a Londra ed a Parigi. Una violazione dello Stato di diritto, quella entrata nel mirino dei Radicali che secondo D’Elia è la prova di una reazione ma di nessuna risposta in termine di visione di medio e lungo periodo. E che, con debita sostituzione dei protagonisti con il terrore sciita e sunnita, ricorda molto quell’equilibrio fondato sul terrore su cui si è costruita e stabilizzata la pace internazionale con la Guerra fredda.

Bollettino di guerra, poi, per l’Italia, ha spiegato la Bernardini, sul piano dei diritti nella giustizia in tutti i suoi volti ed in tutte le fasi procedimentali. Dalla sentenza Torreggiani per trattamenti inumani e degradanti nelle carceri, alla violazione costante dell’articolo 6 della Cedu e così vis. Sono trent’anni, considerando che il diritto comunitario è legge anche per l’Italia, senza che si sia riusciti a migliorare la situazione di un millimetro. E la situazione è ugualmente disastrosa sul piano della giustizia legale se, come testimoniato dall’avvocato Deborah Cianfanelli, siamo sommersi dai ricorsi alla Corte dei conti per danno erariale e dalle violazioni della Cedu. Delle 18mila sentenze di condanna emesse dalla Corte di Strasburgo dal 1959 al 2014, l’Italia ne ha totalizzato 2312 sull’articolo 6 che parla di giusto processo e ragionevole durata. Ponendosi al secondo posto dopo la Turchia e seguita da Federazione Russa, Romania e Polonia. Un pessimo primato. L’andazzo è fallimentare anche sul fronte della legge Pinto, con cui si è tentato il rimedio interno alle violazioni dell’articolo 6. Un censimento dello stesso ministero della Giustizia parla di 5 milioni di procedimenti a giugno del 2015. Ma le riforme cui si attribuiscono taumaturgici proprietà di deflazione dei procedimenti pendenti in realtà non tengono conto dell’impennata delle cause pluritriennali. Le riforme, ha denunciato la Cianfanelli, servono esclusivamente ad impedire il nuovo accesso di cause pendenti, rendendo più difficoltoso l’accesso al Tribunale. E chi si è visto si è visto. Ma anche questo gli italiani non hanno il diritto di conoscerlo né di conoscere il conseguente stratosferico danno erariale, né quanto l’Italia sta facendo spendere all’economia nazionale perché non è in grado di produrre rimedi adeguati. Quello che Pannella ha definito un’ipoteca sulla testa di ogni italiano.

Altra beffa, l’aumento di queste cause è destinato ad aumentare perché a luglio una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 2 della legge Pinto, che prevedeva che la durata del processo penale si considerasse a partire dall’assunzione della qualifica di imputato. Ora parte giustamente dal momento dell’apertura delle indagini. La conseguenza è che si impenneranno le richieste di indennizzi anche nelle cause penali, motivo per il quale si sta cercando di abolire la Pinto. Le cause passeranno alla Cedu, altro futuro lavoro per Strasburgo da cui arriveranno condanne a pioggia. Tanto varrebbe mettersi al tavolo del gioco dell’Oca. Di tutto questo i cittadini non sanno nulla. Come spiegato da Marco Beltrandi, il diritto all’informazione è negato così come è negato il diritto conseguente di decidere cosa sostenere o meno. A questo proposito, un forte contributo viene dato dal Centro di ascolto dell’informazione radiotelevisiva, rinato grazie all’impegno di Rita Bernardini e all’imprenditore Silvio Scaglia, che tiene conto anche delle fasce orarie nell’attribuzione degli ascolti a ciascuna realtà e soggetto politico. I dati ultimi sono allarmanti: al 19 novembre Governo e Premier sono oltre il 50 per cento di presenza in tutte le edizioni principali, ossia quelle più viste, dei Tg nazionali. Sarà o meno un furto di conoscenza e di opportunità di scelta nei confronti dei cittadini cui è negata l’informazione su altre rappresentanze politiche?

 

 

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:27