Del Turco: “conferma   dell’assurdo”

I piccoli errori possono essere corretti e rimediati in Appello ed in Cassazione, le assurdità clamorose “debbono” essere confermate. Lo “esige” la tutela del buon nome del P.M. o del Giudice di primo grado. “Accomodare” l’assurdo, ecco che cosa, al più si ripropongono i giudici delle impugnazioni quando proprio l’assurdo è evidente. E che l’imputato ringrazi Iddio per quell’atto di buona volontà. Nn pretenda l’impossibile, non “aggravi” la sua posizione protestando, pretendendo di “demolire il lavoro di tanti magistrati”, mancando cioè di rispetto alla magistratura.

E’ un eccesso di pessimismo di un vecchio rompiscatole? Sono convinto che, forse, dovrei dire anche di peggio. E non mancherei di rispetto a nessuno, perché la verità non può offendere e perché il Partito dei Magistrati, cui è affidata, tra l’altro, la difesa di questo assioma, non è, malgrado tutto, la magistratura, quella che, così come dovrebbe essere, merita il rispetto, che altri in suo nome pretendono.

Quando qualcuno mi informò della sostanza del caso Del Turco, dei particolari di quel processo fondato sulle dichiarazioni di un bancarottiere in cerca di “giustificazioni” per le “distrazioni” del patrimonio aziendale scomparso, senza il minimo riscontro del “passaggio” di somme sulla disponibilità di Del Turco, formulai subito un amaro pronostico: era troppo difficile “sbarazzarsi” di tante assurdità, troppo ardire occorreva per dire, esplicitamente o solo implicitamente, il giudizio che meritava (e merita) quell’impianto accusatorio.

Si “metteva male” per Ottaviano Del Turco. Così è andata. E solo la caparbietà della fede in una giustizia del tutto astratta ed in una buona sorte del tutto immaginaria per le persone dabbene può far sperare che il futuro spazzi via questo incubo cupo ed assurdo. 2 Direi che in fatto di assurdità la sentenza di secondo grado, anziché attenuare, ha aggravato quella della sentenza di primo grado. Perché quegli “accomodamenti” (tentativi di accomodamenti con la propria coscienza arriverei a dire…) che sono stati “concessi”, rendono ancor più assurda la sostanza della decisione. Anzitutto l’ammissione, implicita nella cancellazione o trasformazione della maggioranza dei punti dell’accusa fondati tutti sempre e solo sulle dichiarazioni del bancarottiere “collaborante”, rimasto però “attendibile” per i punti residui, necessari cioè a “salvare” il buon nome della giustizia. Mentre avrebbero dovuto importare per i giudici, quelli di appello, che il “bancarottiere” è tutt’altro che un “attendibile” (!!!) collaboratore di giustizia. E nemmeno attendibile “a metà”.

E, poi tutto l’impianto accusatorio ne risulta sconvolto e ridicolizzato. Resta “salva” l’esigenza di non “indulgere allo scandalo”: lo “scandalo” del riconoscimento della gravità e, direi, della strumentalità di questo processo e di queste condanne. Strumentali per una “giustizia di lotta”, cioè per una “non giustizia”. Frutto, anche inconscio, del Partito dei Magistrati. Su questo ci sarebbe tantissimo da dire… Anzi, molto abbiamo già detto, sul fenomeno in sé, seppure senza nominare Del Turco e il caso che lo riguarda. Ma le cose più gravi e puntuali le hanno dette dall’altra parte. Il discorso di Ingroia a Roma il 14 novembre è di una chiarezza disarmante: i giudici debbono cedere (e cedono) alle “ondate” che esigono condanne ed è compito degli “ausiliari” del P.d.M. provocare tale “domande” di giustizia sommaria”.

Se è così (e purtroppo è così) che aspettiamo a muoverci per “esigere” che la smettano, che alla paura di contraddire gli andazzi forcaioli si contrapponga quello che i credenti chiamano “timor di Dio”, il timore di non offendere il diritto e la giustizia?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19